Quel segreto nel casolare in montagna

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Quel segreto nel Casolare in montagna


Si era trasferita ormai qualche settimana una famiglia strana ma di grande importanza. Dimorarono quindi in un vecchio casolare in una campagna conosciuta soltanto da cervi e cerbiatti durante il giorno e gufi e civette a donare vita al trascorrere della notte.

Tale famiglia si era spostata in quel luogo sconosciuto per qualche motivo sconosciuto al resto della città in cui abitavano prima.

Il padre veniva chiamato Sir. Arthur, solo lui conosceva il reale motivo di tale spostamento; forse era per via degli affari, o forse per nascondere qualche malizioso segreto, tuttavia la pace di quel luogo era un’ottima scusante.

Sir. Arthur era un uomo possente, voglioso di qualsiasi ricchezza gli si ponesse dinanzi, testardo come il coccio e severo come il mare in burrasca durante la notte. Sposato con una semplice donna, all’inizio docile, poi diventata cruda e fredda come il marito, Sasha, era il suo nome.

Diedero alla luce forse due, o forse tre fantastiche fanciulle. Si ha sempre avuto un forte dubbio sull’ultima bambolina inseritasi in quella discendenza. Erano probabilmente i segni genetiche ad estraniarla: gli occhi verde smeraldo, i capelli mori ondeggianti, insomma non aveva nessun segno in comune con le folte chiome bionde e gli occhi color pece. Il padre la assicurava che aveva preso tutto dalla nonna Clarine , ma qualcosa in lei spingeva sul fatto che tra di loro, non combaciava nemmeno una lentiggine.

Arrivati in quella casetta di legno, piccola ma calorosa, le tre ragazze sistemarono i loro abiti e beni, a Sonia e Gaeta mancavano le loro grandi cabine armadio, mentre l’unica cosa che Cloe rimpiangeva era una vecchia libreria contenente i suoi autori più stimati.

‘Stupido traghetto…’ pensava Cloe, che non aveva preso nel migliore dei modi quell’improvvisa partenza le era sembrato più un rapimento che un trasferimento. Un altro pensiero che turbava Cloe era che nessuno sapeva il motivo ,o meglio,    conosceva la verità.

Lei era abbastanza intelligente e furba da capire che ogni scusa adottata dal padre non era altro che una menzogna. Doveva scoprire la realtà nonostante sapesse che non sarebbe stata affatto gradevole.

Era giunto il tramontare del sole mentre Cloe, stesa su una collinetta non lontana da casa, rifletteva guardando le sfumature di colori che il cielo aveva reso proprie.  Qualche uccello volava libero e spensierato mentre lei pensava a quanto le sarebbe piaciuta quella libertà: niente più vincoli né scuse che doveva raccontare quando rientrava a casa un po’ più tardi. Diceva di essersi smarrita nel sentiero che porta al pozzo, quando in verità, poco distante da lì ripensava piangendo ai suoi vecchi amici che ebbe dovuto abbandonare per colpa di quella improvvisa fuga. Non aveva più un telefono per sentire quelle persone che per diciotto anni le erano state al fianco e la avevano slavata, per quanto possibile, da quella lugubre famiglia.

Era come se fosse stata cancellata da tutto, nessuno sapeva niente di lei.

Iniziò a farsi buio e la piccola Cloe decise che era giunto il momento di tornare a casa. Si incamminò lungo il sentiero ma dall’altra parte di un precipizio scovò una vecchia capanna, aveva un focolare pronto a riscaldare per il susseguirsi della notte blu stellata che stava per arrivare.

Cloe pensò che forse si trattava di una tribù antica e che forse, sperandoci, non era vero che lei e la sua famiglia erano le uniche persone ad abitare quel luogo sperduto.

Promise a sé stessa che l’indomani avrebbe esplorato di più e che nei giorni seguenti avrebbe trovato un modo per scappare da quelle persone che la avevano praticamente tenuta prigioniera in una vita losca dettata da Sir. Arthur. Una volta arrivata a casa si rinfrescò e poi scese per la cena. Trovò Gaeta agghindata come non mai e truccata in viso alle sembianze di un clown, tanto che alla piccola Cloe scoppiò una risata appena la vide in quelle condizioni.

“Che cos’hai da ridere, brutta sgualdrina?!” esclamò la sorella. Cloe oramai non badava più alle brutte parole che uscivano dalla bocca delle sorelle, sapeva che la loro era invidia, non sapeva a cosa fosse dovuta, però. Era anche a conoscenza del fatto che se avesse iniziato anche lei a comportarsi in modo perfido, sarebbe stata guerra persa per le due preferite di papà.

Intorno alla tavola, poco dopo, successe qualcosa di incredibile.

La luce era soffusa e la tavola imbandita molto accuratamente, non che di solito non lo fosse, ma qualcosa era diverso e meno familiare.

Dunque la famiglia si sedette sulle grandi seggiole, eccetto il padre, che camminava avanti e indietro con un viso ansioso, sistemando continuamente i polsini della camicia sotto la giacca blu.

Qualcuno suonò alla porta e Cloe si alzò di scatto per qualche strano motivo. Sir. Arthur le raccomandò di fare la brava e di rilassarsi, perché dietro alla porta non c’era soltanto l’ex proprietaria di quel piccolo casolare, o almeno così lui credeva…

La ragazza dagli occhi verdi guardò le sorelle per cercare sicurezza, ma l’unica cosa che fecero fu ridere inutilmente. Era così evidente che essendo o non essendo componente di quella famiglia, non si trovava bene.

Entrò dal valico una donna anziana, più o meno sulla settantina, capelli corti,occhi verdi. Indossava una vestaglia rossa con qualche accenno di bianco e degli zoccoletti bassi ai piedi. Non aveva gioielli, ma uno sguardo umile sotto la palpebra cadente.

“Salve Signora Chiara, sono onorato della vostra presenza questa sera” annunciò Sir. Arthur

“Grazie per l’invito” risponde la dama, annunciando un mezzo sorriso.

“Le presento le mie figlie” esclamò l’uomo, indicane una alla volta con la mano.

“Incantata, davvero, una più splendida dell’altra”

L’anziana Signora guardò frettolosamente Sonia e Gaeta e poi lanciò uno sguardo fulminante a Cloe, ancora in piedi. La piccola si sentì in soggezione ma la guardò fissa negli occhi.

Li avevano identici, con lo stesso ardore.

Sir. Arthur la fece accomodare e intanto il resto della famiglia che prima si era seduta, si sedette. Cloe era spiazzata, aveva paura di quell’intruso, sapeva che l’unico bersaglio se fosse capitato qualcosa di male, era puntato verso di lei.

La cena fu servita da una sorta di cameriera che avevano anche nella vecchia casa e che quindi partì insieme a loro in quella campagna. Si trattava di una donna innocente rimasta vedova, il suo nome era Ethel.

Cloe era persa nei suoi orribili pensieri e masticava piano, la testa rivolta verso il basso. La alzò soltanto per ringraziare Ethel di averle portato da mangiare.

I discorsi durante la cena riguardavano soprattutto la casa, Gaeta e Sonia parlavano dei affari loro e quando Cloe, quasi per sbaglio, diede un ciglio all’anziana, lei le lanciò uno sguardo complice come per dire “tranquilla, da qui ti salvo io, ho tutto sotto controllo.”

Come diavolo poteva sapere però, la povera Cloe, cosa intendesse realmente quella donna? La paura in lei prese il sopravvento,  da farle cadere la forchettata sul piatto. Si alzò in piedi tremante. “Esco a prendere un po’ d’aria, scusate.”

Sir. Arthur diventò paonazzo in viso e fece per andare verso Cloe, ma la vecchia saggia lo precesse: Andrò io, caro. Sono proprio curiosa di sapere quali strani idee sono passate per la testa di quella fanciulla.

La ragazza era seduta sulla panchina di legno posta fuori dalla porta di ingresso. Clara le chiese di confidarsi e Cloe, un po’ presa dal panico, decise di aprirsi con lei raccontandole i suoi malesseri familiari.

La donna le strinse forte le mani, la guardò negli occhi e senza dire una parola le indicò il maestoso cavallo bianco con il quale era venuto sin lì.

“E’ tuo, corri via ora.” Cloe rimase a bocca aperta e le chiese il motivo di quelle parole. Il timore che le stringeva lo stomaco poco prima, si era dissolto dal momento in cui le loro mani si erano strette.

Un pizzico di magia le aveva fatto prendere fiducia in quella, oramai troppo vecchia per cavalcare, o almeno questa era la sua scusa per averle regalato quel cavallo. Smith era il nome di quel bianco puledro. Forse i suoi dubbi erano svaniti e aveva capito. La Signora Clara, non era altro che la nonna.

 La Signora Clara tornò da dove era venuta e lasciò che la piccola Cloe affrontasse i genitori una volta rientrata.

Gli disse che gli portava grandi saluti e che il cavallo lo aveva lasciato qui, on più in forma per cavalcare.

Subisse un’ora di predica la ragazza, ma non le importava. Quando salì in camera ripensò a tutto l’avvenire pensando profondamente al fatto che finalmente qualcuno era venuto a salvarla e può sembrare strano, ma Cloe pensò che di stare in gabbia ne era valsa la pena, se poi dietro le sbarre oramai e per sempre ci sarebbe stato qualcuno pronta a tirarla fuori.

La notte la passò quasi in bianco, vide il cielo blu farsi sempre più chiaro fino a quando le originarie luci del mattino fecero capolino dalla sua finestra. Il sole non c’era, le nuvole erano cupe e lei era felice. Scrisse una poesia, mise su un foglio i suoi sentimenti e pensiero e poi, lentamente, si addormentò.

Quando aprì gli occhi erano le nove in punto e notò un biglietto sul suo comodino.

“Siamo andati in città, vai a prendere l’acqua al pozzo, mangerai da sola. Ci sono gli abiti da stirare, noi torniamo verso sera.”

Cloe alzò gli occhi al cielo quando lesse quel messaggio ,la sfacciataggine con cui era stato scritto la nauseava. Sicuramente lo avevo scritto Gaeta sotto dettatura della madre e pensava che fosse già tanto se quella ragazza avesse preso una penna tra le mani.

Quando si alzò dal letto era contenta, riordinò la camera e si mise un vestito verde, fece colazione da sola e decise di andare a frugare in giro per casa perché sentiva che la sua permanenza in quella casa fosse forzata e che la prova che non ne facesse parte era scritta da qualche parte vicina a lei.

Forzò la porta dello studio del presunto padre con una forcina e si sentì soddisfatta quando riuscì ad aprirla, si guardò intorno un po’ spaesata e poi si precipitò dietro alla grande scrivania. Nei cassetti c’erano fatture lettere, testamenti e manoscritti, li lesse in cerca di conferme ma non trovò niente.

Poi si sedette sulla poltrona, un po’ malinconica e gli occhi gli si sbarrarono quando vide una cassaforte nell’angolo della stanza.

Inserì una combinazione ma era errata, così pensò a una data importante per il padre e forse il giorno in cui se ne erano andati da Seattle non era così sottovalutato. Fortunatamente si aprì.  All’ interno trovò un’agenda pensando di aver raggiunto l’obbiettivo.

Sfogliando insistentemente le pagine trovò una busta gialla sulla quale, a caratteri cubitali c’era scritto: “CLOE”

La ragazza tirò un sospiro di sollievo mentre il cuore gli batteva all’impazzata. Sui quei fogli c‘erano tutti i possedimenti intestati a Cloe da parte dei suoi genitori veri, prima che morissero in un incidente. Era triste, un vuoto le si creò dentro.

C’era una foto, anche, che la ragazza accarezzò con le dita quasi sfiorandola.

“Mamma…” pronunciò sottovoce, mentre una lacrima le rigava le guance calde.

La porta di ingresso si aprì di colpo e la ragazza scattò subito in piedi.

“Oh oh, non può essere.”

Corse nella sua camera dopo aver chiuso la cassaforte e tenne per sé le carte importanti. Si sentì sollevata quando vide la nonna Clara, che poi in realtà si chiamava Clarine, in francese, infatti pensò a quanto fosse stata stupida a non aver fatto prima quel collegamento.

“Tesoro caro, sono io, non preoccuparti” disse la donna mentre entrava nella bella camera.

Cloe corse ad abbracciarla con le lacrime agli occhi ripensando a tutto il macigno che si era da sempre portata dietro.

La ragazza dagli occhi verdi fece vedere tutti i documenti alla nonna che testimoniavano la sua falsa identità all’interno di quella famiglia.

“Prendi le tue cose, non lasciare qui niente, neanche il più piccolo orecchino. Andiamo via Cloe.

Passarono un paio di mesi e quella famiglia fu denunciata mentre Cloe incontrò e conobbe la sorella Maya. Bella quanto lei, erano proprio due gocce d’acqua.

La loro vita finalmente ricominciò, più felice, più sicura e anche più in compagnia

Ci si può inventare la storia più credibile, più seria e più limpida, serve solo fare attenzione al fondo come in un oceano.

L’acqua cristallina talvolta, nasconde feroci squali e dietro a ogni apparenza si possono scovare gelide verità.