Ridestatomi alla piena coscienza, che si era sottratta alla realtà davanti alla scena angosciosa dei due cognati, che mi aveva rattristato interamente, mi vedo intorno torture e torturati di una specie diversa, comunque io mi sposti e mi volga, e ovunque io guardi insistentemente.
Io mi trovo nel terzo cerchio, quello della pioggia eterna, nociva, gelata e opprimente; ritmo e natura non vi mutano mai.
Grandine formata da grossi chicchi, pioggia nera e neve si rovesciano attraverso la cupa atmosfera; il suolo che trattiene questo miscuglio rimanda un odore nauseabondo.
Cerbero, feroce e mostruoso, con tre gole abbaia ringhioso come un cane verso le anime che in quel luogo sono sommerse dalla melma.
Ha gli occhi vermigli, la barba sozza e nera, il ventre enorme, e le mani artigliate; graffia gli spiriti, li spella e li fa a pezzi.
La pioggia li costringe a ululare come cani; per non essere colpiti a un fianco gli oppongono l’altro; e così gli sventurati si rigirano spesso.
Nel momento in cui il ripugnante Cerbero ci vide, spalancò le bocche e ci lasciò vedere le zanne; non c’era una parte del corpo che mantenesse ferma.
E Virgilio allargò le mani in tutta la loro ampiezza, afferrò un pugno di terra, e con le mani piene la scagliò dentro alle avide fauci.