Senso di responsabilità

Gravidanza: i medici dovrebbero tranquillizzare non mettere dubbio.

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Ho trentotto anni e sono alla prima gravidanza. Assenza di malattie genetiche familiari.

Su indicazione del consultorio vado a fare l’esame di translucenza nucale associato al b-test. Per i non addetti ai lavori è un esame di tipo probabilistico che incrociando alcuni dati di misurazione del feto con valori di alcuni elementi del sangue, fornisce un indice di rischio calcolato sulla possibilità di tre deficit genetici sul feto, tra i quali la sindrome di down.

Io e mo marito ci rechiamo in un ospedale e prima dell’esame, con mia grande sorpresa, ci viene fatta una mini lezione che argomenta il panorama di visite messe a disposizione dalla Sanità per la gravidanza, identificando quali sono gli esami di certezza e quali quelli di probabilità, quando sono necessari, a prescindere dalle scelte personali, e quali i costi o le esenzioni.

Accolgo molto piacevolmente questa spiegazione rivolta ai genitori, che consente di comprendere al meglio il percorso che dovranno intraprendere, analizzando sopratutto i fattori di rischio.

Ci viene anche spiegato un decorso standard fatto da, in principio un esame di probabilità (Translucenza + Btest, attendibilità pari al 90%, con tasso di falsi positivi paria al 10%) a seguito del quale, in funzione dei risultati, si può procedere ad un esame di certezza o a null’altro, nel caso in cui i valori siano giudicati innocui.

Al termine dell’esame ci comunicano che questo è andato bene e continuano aggiungendo che comunque devono farmi presente che nelle linee guida è presente lo svolgimento dell’esame del  DNA fetale  che darebbe una ulteriore certezza pari al 99%; esame che non è inserito nella profilassi della gravidanza anche per età superiori a 35 e che ha un costo che varia dai 500 ai 1000 Euro.

Io rincaso serena e mi metto l’anima in pace per il mio fagiolo.

Qualche tempo dopo, alla diciottesima settimana, mi reco alla visita periodica al consultorio dove mi dicono che i valori non sono preoccupanti ma nemmeno tanto alti da dormire sugli allori, e consigliano il DNA fetale.

Io vado in crisi perché non capisco se questa affermazione “valori intermedi per cui sarebbe meglio fare l’esame” sia fatta più per un fattore di tutela dalle responsabilità che per un reale rischio. Senza tralasciare il fatto che è un esame molto caro e che mi fornirebbe solo un ulteriore indice probabilistico e non una certezza.

Ho chiamato diversi laboratori: non mi sono state fornite indicazioni di aiuto rispetto quello che avevo già.

Soltanto un laboratorio ha avuto l’umanità di voler ascoltare, quantomeno, i valori presenti sull’esame e ha espresso carattere di dubbio sul procedere consigliandomi un ulteriore parere medico.

Sostengo che i medici dovrebbero tranquillizzare non mettere dubbio.

Comprendo benissimo il fattore della responsabilità che oggi è molto pesante, in quanto siamo in un epoca in cui voltarsi ed accusare un altro di una decisione presa è ordine del giorno, ma credo sia necessaria un’etica.

Se sono stati introdotti degli esami probabilistici sulla gravidanza nella profilassi sanitaria, evidentemente si è riscontrato che gli esami di certezza, che hanno peraltro un rischio di aborto effettivo, venivano fatti in modo anche ingiustificato, a tamburo battente.

Ora se è stata inserita una nuova metodologia perché non fidarci di essa? Nel mio caso, perché non limitarsi ad esprimere un parere tecnico in funzione dei valori e dare in mano al paziente la facoltà di scelta, senza aumentare in lui dubbi e incertezze per paura di una sua reazione postuma?

Ognuno di noi dovrebbe avere un senso di responsabilità che lo porti ad agire come se fosse esso stesso il destinatario del nostro operato.