Inutile provare a cercare Carla. Viene voglia di prenderla a schiaffi, quando si chiude nel suo microcosmo.
Prende quattro cose e si rifugia in un eremo diroccato della sua bisnonna. Lassù il cellulare non ha rete, lo fa apposta, vuole scomparire da se stessa, va in punizione. Lei che è l’icona della solarità, che riesce a fare abbronzare gli altri diventa tetra come una notte buia. Lei che ha paura del buio va a placarsi nell’oscurità. Io sono Oscar sono due corpi in uno, quello che vedo io e quello che vedono gli altri e gli altri mi vedono secondo i loro occhi. Carla mi ha insegnato a vedermi con gli occhi, che mi piacciono. Non sono Oscar veramente, mi piace questo nome, potrei chiamarmi Coralla, Selvaggia. Sono insomma quelle che la società ghettizza, quelle che dovrebbero vivere in «un corpo sbagliato» Carla sente il nostro odore, lo sente così tanto che si confonde così tanto con noi, che più di qualche volta le chiedono «pure tu tieni questi problemi?»
Carla delle volte arriva con la sua esplosione di tette, tacchi a spillo, calze a rete, ti sbatte addosso il suo essere donna.
Delle volte arriva con un look androgino, vuole essere uomo, innamorarsi di una donna, perché pensa che le donne sappiano amare meglio. Quando si ritira nell’eremo va in punizione. Aspetto due giorni e corro da lei, sono un’attrice fingo sempre di aver bisogno io. La chiama Mami, lei si scioglie e mi fa entrare. Pensa sta riscrivendo la storia di Layla e Majnun, una leggenda così antica o una storia scoperta da Nizami di Gange. Innamorati da bambini con destini diversi Majnum, il soprannome QAYS, significa pazzo si ritira nel deserto, mangia poco. Dopo la morte vengono seppelliti insieme. L’Eremo di Carla sembra come il Castello della Rotta dove vagano gli spettri, compreso quello di una marchesina francese, gettata dalla torre, per aver rifiutato un marito. L’eremo di Carla sembra il Castello di Strozzavolpe presso Poggibonsi con Cassandra Franceschi, o la Rocca di Sambuca con Selvaggia Vergiolesi.
Carla quando si ritira nell’eremo si circonda di queste donne, nel suo corpo riprendono forma.
Sulle pagine del suo romanzo spolvera i fantasmi degli amori impossibili, ipotizza scenari e soluzioni diverse. Lei scrive del sangue delle donne, con il sangue delle donne, mentre sogna un viaggio chiamato Amore. Si consuma leggendo storie di scrittrici con vite sentimentali tragiche, pensando se lui gliele consegna ci sarà un perché. Lui è attratto da scrittori del male di vivere, lui è un doppio di un’altalena. Io li osservo, sono due gusci sgusciati, vittime entrambe del male di vivere. Io sono la voce neutra di questo male di vivere. A volte prenderei a schiaffi Carla dicendole «guarda fuori ci sta il sole» a volte prenderei a schiaffi lui «sei un maschio egocentrico» Poi li osservo, quando lui chiede «scusa» l’ho visto inseguirla, camminare a piedi in una Roma surreale, l’ho visto prendersi cura di lei.
Io non sono Freud e non posso aiutarli, lui non parla, lui è il Silenzio fatto Uomo, con lui puoi parlare dell’Universo, è un topo di libri, è un professore universitario trasversale.
Compone musica celestiale, ma vive in una vita che non è sua. Ogni tanto mi cacciano, mi rifiutano. Lui si chiude in quell’ostinato silenzio, lei fugge nell’eremo, io mi metto in mezzo: