Quanto è strano
e com’è triste il volo
se non lo contemplano i gabbiani
bensì anime stanche.
Non spezzerai le catene,
semplicemente in frantumi
ridurrai la mia anima,
se al buio mi sai condannare.
Sì, ti resterò a guardare
perché sei bella anche se piangi,
non è crudeltà
ma il saperti insicura.
Che a cadere nel vuoto
alla fine, ci son io
tu mi regali capogiri
e brividi che non merito.
Se è tale la bellezza dall’alto
di quello che chiami “ultimo sguardo”
salirò lì con te, sul parapetto,
con in mano la tua mano.
Ma io di vita
t’inebrierò danzando
conteremo le stelle
non ancora cadute, sai
che in fondo tu non cadrai.
Lo urlerai pure al cielo
che hai ali per volare
ma non per cadere giù
dall’ultimo piano delle speranze.
Mi ringrazierai
perché ne sentirai l’odore
troppo acre della vita che chiama,
resterò con lo sguardo a mezz’aria.
Me lo regali un sorriso
o un pianto che sia sincero?
Non lo dovrai a me
sarà stato tuo il passo indietro.
L’ho soltanto voluto
e tu l’hai sentito
quel mio bisogno di averti accanto
ogni santo, ogni santissimo giorno.
Guida alla lettura
Sono troppe le anime stanche della vita che tentano “l’ultimo volo”. Anziché pensare che parlarne induca qualcuno a farlo, si dev’essere consapevoli che è proprio il non parlarne che può incitare qualcuno disperato a provarci. Chi tenta il suicidio non vuole, in realtà, morire, bensì smettere di soffrire. Eppure “farla finita” viene definito come soluzione ad un problema temporaneo e, come tale, non è contemplabile come alternativa alla vita. Cos’è un problema momentaneo, per quanto gravoso ed inquietante, in confronto ai risvolti di un’esistenza in continuo mutamento?