Uomini fummo e or siam fatti sterpi. Dante per tutti

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Eccoli. Ne vediamo a malapena le sagome che si fanno largo tra le piante ritorte della selva dei suicidi e degli scialacquatori – che funge da secondo girone del settimo cerchio del baratro infernale – schivando di qua e di là, chiaramente ciò riguardando soltanto Dante, gli arboscelli e gli sterpi intrecciati e rinsecchiti che la popolano in gran quantità. Tutto ciò lo troviamo nella parte iniziale del tredicesimo canto dellʼInferno, dove i due poeti, lasciati ai margini della selva dal centauro Nesso, il quale, su ordine perentorio del suo capo Chirone, li ha scortati fin lì, si sono da poco inoltrati negli intricati meandri di quella.

Virgilio non ha perso tempo nel dire a Dante dove essi sono finiti, anticipandogli anche che a breve avrebbe visto delle cose talmente fuori dal comune – sebbene gli scenari che aspettano il poeta di lì in poi non saranno meno straordinari – che se egli gliene avesse fatto cenno, il poeta non gli avrebbe creduto.

Virgilio non finisce di parlare, che lʼudito viene ferito da numerosi lamenti, ma non si vede alcuno che li produca; cosicché Dante, che segue da presso il maestro senza staccarsene mai, si arresta di colpo completamente confuso. “Credʼïo chʼei credette chʼio credesse che quei lamenti provenissero, attraverso quella sterpaglia, da anime che si nascondessero a noi”, egli chiosa.

Poi, una voce salda prorompe così: “Uomini fummo e or siam fatti sterpi: tuttavia la tua mano avrebbe dovuto essere più misericordiosa, anche se fossimo state anime di serpenti”.


Uomini fummo e or siam fatti sterpi

Continua su dantepertutti.com del 10.10.2018