I vecchi non si accontentano più di giocare a carte

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I giovani. Una definizione scolpita nel cemento, catalogata e classificata come può esserlo “Pthirus pubis” o la risposta da Quizzettone a “la definizione di chi appartiene alla società del futuro” che si sceglie a caso ridendo con gli amici dicendo ‘ma dove l’hai trovato sto gioco’. Sono sincero, ho visto casi in cui avrei risposto indifferentemente sia “i giovani” che “pthirus pubis”.

Sì perché “i giovani“, quest’entità supernaturale e splendente della luce della speranza del futuro, lo sa che “il futuro” viene costruito su delle basi a cui attaccarsi come parassiti, basi che da sempre, da che la società civile esiste, s’estendono fino a un certo punto per poi diramarsi ulteriormente tramite “i giovani”, in una trama intricatissima d’ideali, soluzioni, utopie inseguite e furti perpetrati, leggi cancellate, crimini dimenticati o riscritti. Eppure, in tutte le storie, o almeno come ci hanno insegnato, c’è un antagonista, un personaggio negativo e malvagio opposto al protagonista. Se volessimo trovare un’antagonista a “I giovani”, a seguire la scia di pensieri che porta a pensare “i giovani” come “il Futuro” sembrerebbe che quello che dobbiamo cercare è l’antipodo essenziale, il naturale nemico grammaticale: “I vecchi“,il “Passato”. Anziani? No, vecchi.

Quell’appellativo che ci suona dispregiativo, eliminato dalle discussioni politicamente corrette perché la realtà era dura da accettare.

Vecchio, come la medaglia da cavaliere di nonno, della prima guerra. Vecchio come usare le sanguisughe per le vene varicose, o vecchio come credere nella monarchia come forma di governo ideale.

Ci siamo ostinati a far sì che cambiassimo le parole, riformulassimo i pensieri con lo scazzo un po’ più a destra, ma sì un po’ come se ci riaccordassimo insieme che il Tarapia Tapioco davvero serviva d’una svecchiata. Ma sì, dai, mescoliamo un po’ le carte, questi cazzoni ventenni non sanno nulla di politica, diamo una scaldata alla minestra e decidiamo noi per loro. Quasi quasi, anzi, sapete che vi dico: nella moda dopo vent’anni diventa tutto vintage: rispolveriamo le Superga, che le avevo tenute in soffitta apposta, gli diamo una passatina con la macchina del consumo e voilà, ecco servita la società.

Eppure io credo che noi giovani siamo davvero dei cazzoni.

Forse non TUTTI i giovani, forse non OVUNQUE… ma sicuramente quei giovani che per emergere nel mondo dei “non giovani” devono giocare a Twister sulle fondamenta che hanno posto quest’ultimi, bè, quelli sì. Sono i peggio cazzoni.

Ho immaginato sempre la società come un complicatissimo gioco di carte: servono anni per imparare le regole e, per ogni punto che vinci, ti rendi conto di stare diventando più bravo. Così cerchi d’ignorare le sconfitte, di cercare di vincere sempre più facilmente rispetto ai cazzoni che queste regole non le sanno o, magari, trovare un buco nelle stesse regole.

Dopotutto, se il manuale per imparare il gioco è alto più di venti pagine, praticamente devi rendere obbligatorio il test prima d’iniziare a giocare perché Maru, il gatto giapponese su Youtube, ha estrema precedenza su qualsiasi forma e momento di studio. Lo so io, lo sapete voi e lo sanno Loro.

themLoro. Non come alieni fantascientifici alla Visitors, ma più come nei romanzi cyberpunk degli anni ’80: Le Corporations. Le Multinazionali. In un mondo senza più speranza e soverchiato dai LED multicolore a basso consumo, Loro hanno il controllo sulla mente delle persone, Loro decidono cosa ci piace, Loro decidono come comportarci e chi essere, se guadagnare tanto o poco, se vivere nell’illusione della felicità o meno.

Oppure, più semplicemente, Loro giocano da molto più tempo di noi e non hanno intenzione di lasciarci giocare. Quasi come quei bambini che appena compri Parco della Vittoria e non glielo vendi lanciano in aria il tavolo con tutto il Monopoli.

Una visione tragicomica e ludica della realtà, anzi, una visione ludus. Dalla parte opposta, i giovani vogliono una società paidia, quella del gioco spontaneo, quella dell’immaginazione e della creatività senza limiti che permette di fantasticare: diventare famosi, o trovare un lavoro e comprarsi il gadget di turno, o per seguire una passione.

In questo concetto Cailloisiano, io trovo il centro della società di oggi: una società che gioca. Gioca con le regole di chi c’è stato prima e chi cerca di esserci ancora e si scontra, forse mai come prima, contro la paidia giovanile, portata sotto l’ascella dai social network, le petizioni online, i flash-mob, gli hashtag. In un mondo in cui le regole del gioco si sono fatte troppo complicate, noi cerchiamo i buchi nelle regole, i backdoor tramite cui inserirci. La realtà, però, non si piega a nessun gioco.

Siamo i “giovani” di una generazione senza lavoro, in un mondo in cui chi detta le regole trova sempre l’amico o il bisognoso che accetta di lavorare per poco o nulla, perché “meglio questo che niente”. Siamo cresciuti e, per assurdo, la generazione di dieci anni più giovane della nostra, è cresciuta con il pensiero “se lavoro posso realizzarmi” senza però discernere quale lavoro, quale paga, quali condizioni. Abbiamo progressivamente accettato di abbassarci sempre più in basso, giustificando il nostro abbassarci con “ci sono gli immigrati, lo fanno loro al posto nostro se non lo facciamo noi, dobbiamo farci furbi” per poi cambiare il finale della frase “dobbiamo farci furbi, dobbiamo cacciarli”. Improvvisamente, i “vecchi” hanno trovato un inaspettato buco nel sistema: il controllo del nemico.

“No, non è il nostro sistema pensionistico insostenibile che ci ha trascinato in basso, o le nostre scorribande politiche che hanno impedito alle nuove generazioni d’avere un’idea reale di cosa sia la politica… sono Loro. Sono Loro il nemico, cacciamoli insieme” ed eccoci, a urlare sui social, a costruire barricate insieme a Loro, contro gli… altri Loro. Un mondo dove Loro si scontra contro il falso Loro e contro Noi, Loro contro Noi che difende Loro. Una commistione di nonsense che porta i meno risoluti a disinteressarsi, ad incrementare il conteggio views di Maru, il gatto giapponese.

Solita, banale, fuga dalla realtà. Ecco a cosa siamo relegati noi “giovani”: scottati, incapaci d’affrontare la realtà senza le dovute precauzioni. Eppure, dopotutto, guardiamo in faccia la realtà: forse è un po’ così. I tre pazzi che hanno creduto in Youtube non erano usciti dal nulla, non saltavano in aria improvvisandosi giocolieri, erano quasi trentenni con una carriera dentro Paypal alle spalle. Fa ancora più male pensare che, comunque, anche loro hanno deciso di affidarsi a chi era “più esperto” nel gioco, a chi, con dieci anni di più d’esperienza alle spalle e miliardi in eccesso – Google, nominalmente – avrebbe fatto fruttare meglio la loro idea.

Ma per un colpo al cerchio, uno alla botte: Mark Zuckerberg ci riporta con i piedi per terra, lui, che ha fondato un impero con un’applicazione per i compagni di scuola, che ha rubato le idee ed il lavoro di chi più “vecchio”, che ha lasciato l’università di Harvard per guadagnare i miliardi facendoci condividere link su link, trovando ogni volta come “impolpettare” meglio le sue idee a noi, semplici utenti che a quei tre signorotti avremmo rivolto un salve, un grazie e forse anche il culo al vento, pur di non ritrovarci a dover discutere in tribunale di dare a qualcuno un milione e mezzo di nostre azioni.

Da qualsiasi parte si guardi, è inutile girarci intorno: non c’è qualcuno a cullarci, a spingerci a realizzarci, in una società globale in cui l’individualità viene perpetrata tramite l’unico vero possedimento terreno e materiale, un nickname e un avatar, ma è un cazzo di campo da guerra per avere qualcosa di più. Un po’ tutti contro tutti, un po’ “chi mi ama mi segua su Instagram”, un po’ “il prosumer è il nuovo consumatore”. Ci siamo tutti, in questa Hastings di noialtri. Per il futuro c’aspetta questo: guerra, lotta, instabilità.

Un’instabilità dettata da errori altrui, ma anche la mancanza di pprecariudore, l’ossessione dell’orgoglio, di non voler ammettere i propri sbagli e la propria incapacità generazionale. Noi, poi, italiani santi a cui piace addossare la colpa dei nostri fallimenti a chi non risponde al nostro nome, siamo i primi a dire che le Brigate Rosse, Berlusconi, la mafia, la crisi, la Fornero, pure gli alieni se serve. Cresciuti in quell’utopia di chi è stato adagiato nel lavoro in un boom fittizio e gonfiato, irresponsabile, che ha portato al considerare oggi, con una laurea in Economia, o in Grafica Editoriale, il contratto trimestrale di McDonald’s un fermo e sonoro punto di partenza per “iniziare da qualche parte”.

A 24 anni.

Ma almeno prima di farmi nascere in questa società potevate pensare a qualcosa di meglio da dire in risposta al “perché dopo che un’azienda finisce il mio contratto tramite Garanzia Giovani, mi continua a proporre soltanto la loro parte di soldi e non l’intero stipendio che avevo?” perché onestamente “c’è crisi” mi fa pensare che oltre che incapaci di darci in mano le chiavi del mondo futuro, siete anche un po’ coglioni.