Villa Gregoriana, a Tivoli, la mia città. Ha rappresentato per lungo tempo una delle tappe fisse del Grand Tour. Quando i rampolli dell’aristocrazia europea, a partire dal XVII secolo, e non solo loro – ricordiamo Goethe, su tutti – non avrebbero potuto vantarsi di aver perfezionato il loro bagaglio culturale intriso di classicismo, se non avessero visitato questo luogo meraviglioso, le cui rappresentazioni pittoriche, peraltro, si trovano nei musei di tutto il mondo.

Bene. Quella che oggi conosciamo con questo nome, appunto Villa Gregoriana, è attualmente gestita in modo egregio dal F.A.I.

E’ in comodato dʼuso da parte del Demanio dello Stato, che la rilevò da quello dello Stato Pontificio nel 1870. Fu inaugurata in modo solenne il 7 Ottobre 1835, a seguito di un evento catastrofico che segnò in modo indelebile la parte più antica della città. Parliamo dellʼalluvione del 1826.

Un breve excursus ci aiuterà a comprendere meglio ciò che accadde, non senza una premessa. Le caratteristiche geomorfologiche del territorio tiburtino di nord-est, e quelle idrogeologiche attinenti lʼalveo dell’Aniene da quella parte, che era soggetto da tempo immemorabile a periodici straripamenti, fecero in modo che le alluvioni diventassero per una parte della città, quella denominata non a caso Le Ruine, un problema particolarmente grave.

Infatti, già in età romana, erano state edificate almeno tre chiuse, per arginare la foga del fiume. La quarta viene eretta nel 1489. Proprio quest’ultima, qualche secolo dopo, appunto nel 1826, non riuscì ad arginare la violenza delle acque.

In quell’anno, a metà Novembre, dopo che per giorni si erano susseguite piogge torrenziali, lʼAniene provocò unʼalluvione. Gli esiti furono catastrofici per le abitazioni e gli opifici presenti nel rione sopra menzionato.

Fu Allora, che prese iniziativa il pontefice di quel tempo, Gregorio XVI. Egli incaricò lʼingegnere Clemente Foschi per la progettazione e la direzione dei lavori. La volontà era quella di deviare in modo drastico il letto del corso dʼacqua. Questo comportò, a lavori ultimati, una totale trasformazione del paesaggio. Vennero così a cambiare sia la natura dei luoghi – attraverso una superba cascata alta un centinaio di metri, che divenne immediatamente un elemento imprenscindibile nel quadro generale, che fuoriesce da due cunicoli scavati nella roccia di monte Catillo, che incombe con la sua mole sulla riva destra del fiume – sia lʼintero assetto urbanistico della zona.

All’interno emerge ciò che resta della sontuosa dimora del console romano Manlio Vopisco del parco venutosi a creare in tal modo quasi spontaneamente, tra la rigogliosa verzura, mentre, al termine della bellissima passeggiata “per le discese antiche e le risalite”, che ha inizio dal lato di piazza Massimo, dove insiste una lapide commemorativa di Gregorio XVI, e termina in corrispondenza dei templi di Vesta e di Tiburno, il primo dei quali dedicato alla Sibilla Tiburtina, proprio sull’Acropoli della città, che vanta oltre tremila anni.

Dopo decenni di abbandono, a partire dalla Seconda Guerra Mondiale, oggi Villa Gregoriana, sotto lo sguardo attento del F.A.I., è ritornata agli antichi splendori. Ma, a differenza dell’epoca del Grand Tour, non ci sono più i giovani aristocratici che debbono perfezionare e completare la loro preparazione culturale.

@ Magie Tiburtine: Villa Gregoriana