Un concerto a Manchester

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Suonano alla porta. Finalmente! E’ Veronica con sua madre che mi è venuta a prendere. Non vedevo l’ora. Un’ultima occhiata alla specchio, prendo lo zaino, la bandana e sono pronta. Scendo le scale e saluto al volo mia mamma che in cucina sta preparando la cena.

“Ciao mamma, io vado”.

“Aspetta che esco anch’io a salutare la mamma di Veronica”.

“Sì però fai presto che arriviamo tardi”.

Apro la porta e mia mamma dietro. Scendiamo i gradini e ci avviciniamo all’auto. Veronica mi apre la portiera esibendo il suo sorriso più grande.

“Sei pronta?!”

“Certo che domande, sono due mesi che aspetto”

La data del concerto era stata fissata molto tempo prima: fu difficile convincere i miei a comprare il biglietto e lasciarmi andare.

La mamma di Veronica aveva giocato un ruolo fondamentale quando decise di accompagnarci. Disse che non avrebbe mai voluto farci perdere un concerto perché lo considerava quasi un battesimo alla vita da teenager. Mia madre fu più rigida ma non riuscì a trovare nessuna motivazione valida per impedirmi di andare. Buoni voti a scuola, nessun colpo di testa: una figlia esemplare.

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Sento il sudore che mi cala dalla fronte, lo sento scendere anche sulla schiena nonostante la striscia adesiva che mi cinge il busto. Ho difficoltà a muovermi a causa del mio trasporto eccezionale. Seduto sul seggiolino del treno, accanto a queste persone che non sento fratelli, la mia vita corre veloce verso l’obiettivo. Entra nello scomparto una donna, somiglia molto a mia sorella. Porta il chador sui capelli ma è vestita all’occidentale.

“Salve, posso sedermi qui?” dice guardandomi.

Non avrei voluto compagnia ma il treno era pieno e io occupavo il sedile con la valigia.

“Ehm..va bene” faccio io, spostando il borsone delicatamente sul portabagagli sopra la mia testa.

“La ringrazio, vorrei sedermi un attimo prima di arrivare, perché una volta lì dovrà stare in piedi per più di quattro ore”

Non avevo nessuna intenzione di iniziare una conversazione. Dovevo rimanere concentrato e ripassare tutti i punti, per non sbagliare.

“Mi aspetta mia sorella in stazione. Sarà così euforica, è da due mesi che aspetta questo giorno” fa la donna.

Le accenno solo uno sguardo di circostanza, nessuna domanda sperando che non vada oltre nella conversazione, ma lei sembra non capire.

“E’ bello vivere in una città dove vengono a suonare le star internazionali, ti fa sentire un pò al centro del mondo”

Da lì deduco che non ha capito che non voglio parlare ma sopratutto, comprendo che siamo diretti nello stesso posto.

“Va al concerto?” le chiedo.

“Sì” fa’ lei sorridendo.

Non riuscirò mai a capire cosa possa scattare nella mente di queste persone.

Vanno a vedere una ragazzetta quasi nuda che non ha rispetto nè per Dio nè per la sua famiglia. Si mette in mostra davanti a folle adoranti di ragazzini che contribuisce a plagiare e corrompere. Le donne dovrebbero stare a casa ad aiutare la famiglia invece che andare a perdere tempo. Somiglia davvero tanto ad Aisha. Per un attimo il pensiero torna al villaggio e alla famiglia lasciati con la promessa di servire il popolo e la parola di Dio, per un futuro migliore da dare alle generazioni che verranno. Lontani dal peccato e dall’arroganza dell’Occidente.

“Tutto bene?” chiede la donna

“Sì certo, però se non le dispiace vorrei rimanere in silenzio”.

“Le chiedo scusa”

“Non si preoccupi” le dico sistemandomi più dritto sul sedile. Finalmente ora starà zitta, tra poco siamo arrivati.

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“Ciao Laura, ancora grazie per tutto questo” disse mia madre affacciandosi al finestrino dell’auto.

“Ma di ché. Avresti fatto lo stesso. Ti ricordi quando ai nostri tempi si smaniava per andare a vedere i Duran Duran?! I miei mi hanno sempre detto no e appena ho potuto decidere per me, non ho mai perso un concerto. Sono esperienze necessarie. Sono emozioni.”

“Sei troppo romantica. Ma hai presente che delirio ci sarà?”

“Eh va bè siamo a sedere. Posti numerati. Meglio di così. Sarebbe stato peggio in prato!”

“Allora mamma andiamo?! E’ tardi!” ammonisce Veronica sporgendosi ai sedili davanti.

“Si dai mamma lasciaci andare” faccio io.

“Ok ok, andiamo, via”.

“Mi raccomando fai la brava e tieni sempre d’occhio loro, mi raccomando. Divertitevi”.

Mia madre finalmente si congeda. Laura accende l’auto ed esce dal vialetto.

Arrivati vicino all’arena parcheggiamo incredibilmente abbastanza vicino per vedere la gigantesca struttura che ospitava l’evento. Ero emozionatissima. La prima volta che vedevo uno spettacolo del genere, nemmeno potevo immaginare cosa ci aspettava. Il cuore in gola e felicità alle stelle.

Ci incamminiamo e incrociamo tantissime ragazze che come noi avevano gadget, scritte sul viso o striscioni con su il nome di Ariana.

Un gruppo più in là intona ……bout you makes me feel like a dangerous woman…..

Somethin’ ’bout, somethin’ ’bout, somethin’ ’bout you….rispondono da dietro.

Che adrenalina! Arriviamo al controllo biglietti e ci attende la fila.

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Il treno è in arrivo alla stazione. Mi alzo e prendo il borsone. La ragazza si alza, per un attimo le nostre braccia si sfiorano. Mi guarda e accenna un sorriso.

“Buona serata” mi dice.

Mi volto appena e le faccio un cenno. Sento che borbotta qualcosa andandosene.

Scendo dal treno e mi confondo tra la folla, cercando di visualizzare la fermata del bus che devo prendere. Non sarà difficile sono tutti diretti là.

Mi fermo agli sportelli automatici e prendo un biglietto. Mentre metto via i soldi uno mi urta con lo zaino mentre correndo si dirige verso la fermata. Sì corri pure.

Trovo un bar con i tavoli esterni. Mi avvicino al bancone e ordino un thè, prima di trovare posto ad un tavolo. Pago e mi siedo in attesa della bevanda. Mi giro per vedere la marmaglia che sta salendo sull’autobus, il colore bordeaux del chador di quella ragazza spicca in mezzo alla moltitudine di teste. Arriva il mio thè.

“Scusi l’attesa” dice la cameriera porgendomi tazza e teiera.

“Non si preoccupi ho ancora tempo” rispondo io.

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Prima di entrare ai tornelli ci controllano lo zaino. Apro il mio, Veronica il suo. C’è una bottiglietta di acqua che il militare provvede a stappare e a restituirle.

“Si ma ora come faccio, mamma!”

“Eh piccola serve per evitare di buttarla in testa a qualcuno, dai vai avanti, dentro ci sono i bar”

Prendo Veronica e la invito ad avanzare. Davanti a noi una fila interminabile di gradini che conducono all’interno dell’arena. Il cuore batte forte mentre a passi lunghi saliamo.

“Ragazze un pochino più piano non riesco a tenervi dietro” Dice Laura annaspando.

Arriviamo all’ingresso: davanti a noi si apre uno spettacolo incredibile. Il palco è gigantesco con una enorme pedana che si estende fino al centro. Non riusciamo a trattenerci: io e Veronica scoppiamo in un urlo di gioia e ci mettiamo a saltare.

“Wow” esclama Laura che ci raggiunge dopo qualche minuto “veramente impressionante”.

Diamo un’occhiata alle gradinate e cerchiamo il nostro posto. Ora è solo attesa: un’ora che sembrerà lunga un secolo. Chiamo mia mamma.

“Mamma tu non puoi capire, non riesco nemmeno a spiegarlo. E’ tutto gigantesco”

“Sono felice che ti piaccia. Mi raccomando fai attenzione e divertiti. Ricordati che ti voglio bene”

“Anch’io mamma, grazie.

Manca poco ormai. Le gradinate sono piene ed il prato si è quasi del tutto riempito. Una musica di sottofondo fa ballare tutti nell’attesa, ma il pensiero è per quando uscirà lei.

Ad un certo punto le luci di spengono ed un grido unanime e fortissimo si alza. Le luci si accendono di colpo ed eccola apparire su un’altalena al centro dell’arena. Inizia la musica! E’ bellissima!

Io e Veronica ci guardiamo negli occhi: che bello essere lì insieme.

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Mi alzo dalla sedia, prendendo la borsa. Una sensazione di tremore prende le gambe. Mi fermo un attimo e respiro a fondo. Riprendo il cammino dirigendomi verso la fermata.

L’autobus arriva e salgo sedendomi in fondo. La ressa è finita. Guardo fuori dai finestrini la città che scorre. Non voglio pensare a nulla, ma insistentemente gli occhi di quella ragazza mi violentano. Strizzo gli occhi un secondo. Non vedo bene. Penso a mia sorella, ai miei genitori, sento l’odore di casa. Penso che tra poco sarò in pace finalmente e che loro saranno fieri di me, solo questione di tempo.

Prossima fermata Manchester Piccadilly

Eccomi arrivata. Mi dirigo verso l’arena. Il concerto è ancora in pieno svolgimento. Avrò il tempo di mimetizzarmi. Rimango un attimo fermo per verificare la posizione e mi incammino verso il punto stabilito.

ore 22.15: Controllo che tutto sia a posto e mi siedo a terra con le gambe incrociate. prendo la borsa e la tengo tra le gambe. E’ molto pesante, ma ora non sento più nulla. Il tremore, la tachicardia sono passati. Sono calmo. Mi sento bene. Lo sto facendo per il mio popolo, per i bambini del mio villaggio e per la mia famiglia. E’ ora di rispondere alla violenza con la stessa arma.

ore 22.25: Prendo tra le mani il telecomando e appoggio il pollice sul pulsante. Mi asciugo gli occhi.

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E’ stato davvero bellissimo, un’emozione unica. Mi sento ancora frastornata dal volume e dall’agitazione. L’arena inizia a svuotarsi. Siamo davvero tantissimi. Sopratutto ragazzi della mia età. Penso a quanto è bello essere uniti da una passione e mi sento davvero fortunata a condividerla con la mia migliore amica.

“Allora ragazze come è stato?” chiede Laura.

“Davvero bellissimo mamma” risponde Veronica abbracciandola e ringraziandola di averci accompagnato.

“Che dite iniziamo a scendere?”

Ci mettiamo in fila e iniziamo a percorrere i gradini che ci portano verso l’uscita.

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ore 22.29: Addio Aisha, mamma, papà: vi voglio bene.

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Un boato enorme scuote il torpore della discesa. Sento urla e vedo la folla che inizia a correre nelle più disparate direzioni. Mi giro e non vedo più nè Veronica nè Laura.

Migliaia di persone corrono impazzite. Rischio di cadere. Il terrore si è impadronito della mia mente. Inizio a gridare “Veronica, Laura dove siete?” ma mi accorgo che c’è troppo caos perché mi possano sentire.

Impietrita dalla paura mi fermo sul pianerottolo e d’un tratto sento qualcuno che mi prende la mano. Mi giro urlando e vedo Veronica e Laura in lacrime che mi abbracciano.

“Oddio pensavo che ti fosse accaduto qualcosa”

“No no sto bene. Ma cosa è successo?”

“Sembra ci sia stata un’esplosione fuori, ma ora usciamo avanti.”

Ci teniamo strette per mano come se quella fosse l’unica cosa esistente al mondo in quel momento e scendiamo verso le porte. Sirene blu, poliziotti, ambulanze fuori è il caos più totale, ma noi non ci fermiamo decise a raggiungere la macchina. La vediamo è ancora nel parcheggio. Entriamo e scoppiamo in un pianto senza fine.

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Torna il terrore in Gran Bretagna, e torna nel modo più scioccante possibile: un attacco terroristico al termine di un concerto per giovani e giovanissime all’Arena di Manchester, il più grande spazio per il divertimento della città. Il bilancio delle vittime è di 22 morti e almeno 120 feriti. Tra i morti – fa sapere il capo della polizia di Manchester, Ian Hopkins – ci sono anche dei bambini.