“Liquidi”. Così ci definisce Zygmunt Bauman nel suo libro “Modernità liquida”, dove l’odierna società occidentale è sintetizzata in un’immagine alquanto evocativa: un mare in tempesta sconquassato da mode, ideologie, guerre sempre nuove – da correnti che possono durare un giorno, un mese, un anno, ma che poi si esauriscono e si dissolvono tra le onde.

L’umanità è in mezzo a questo mare.

Al timone della barca stanno i cittadini attivi, i produttori; ma subito dietro, pronti a prendere il loro posto, ci siamo noi, i giovani, i millennials: marinai nemmeno troppo esperti, che fino a questo momento abbiamo solo osservato il mare in tempesta, con il quale però, tra non molto, dovremo confrontarci. Che lo vogliamo o meno. Ne saremo in grado?

Siamo una generazione nata nella tempesta, nell’occhio del ciclone.

Veniamo da decenni di rimescolamenti e di grovigli sociali. Negli ultimi quarant’anni è cambiata la politica: l’atteggiamento con cui approcciamo a noi stessi, agli altri, allo stato e al nostro pianeta. Sono cambiati il costume e la mentalità comune. Siamo gli eredi del ’68: un momento cruciale della storia del Novecento, troppo lontano per averlo provato sulla nostra pelle, ma, al tempo stesso, così vicino da sentirne ancora l’eco potente. Non abbiamo dovuto conquistare il diritto all’aborto e al divorzio, alla libertà d’espressione e all’uguaglianza universale.

Li abbiamo trovati già belli e impacchettati non appena siamo venuti al mondo.

Anche per questa ragione, forse, molti adulti che il ’68 “l’hanno fatto“ e l’hanno vissuto in prima persona ci giudicano pigri e indolenti, incapaci di battersi con veemenza per difendere ciò in cui crediamo e di impegnarsi al massimo per cambiare le situazioni in cui ci troviamo.

Giudizio inesatto e superficiale.

Noi giovani ci battiamo ancora e con forza, ma le nostre campagne sono contro mostri diversi da quelli che i nostri genitori hanno affrontato: marciamo contro la violenza sulle donne, l’ignoranza, la discriminazione razziale, sessuale e di genere. Chiediamo il riconoscimento e la validità per chi è “differente“ dai modelli imposti dalla società. Aspiriamo alla piena consapevolezza di ciò che accade nel mondo. Cerchiamo le pari opportunità.
Eppure tutto questo sembra non essere abbastanza per la generazione da cui proveniamo e che in gioventù ha lottato e lottato, ma che adesso si ritrova stanca e con poco più di un pugno di mosche in mano. Le nostre aspirazioni sono guardate con la sfiducia e la compassione di chi è convinto che non riusciremo mai a realizzarle.

Per fortuna, c’è ancora qualcuno – peraltro, pochi e inascoltati – che ci osserva con occhi diversi e vede in noi dei piccoli soli da cui, un giorno, potrebbe irradiarsi una luce sfolgorante.

Nei nostri confronti, però, prevale una sfiducia che nasce dall’enorme distanza tra le attuali generazioni. È quasi banale ricordare che noi millennials, in quanto a tradizioni, stili, opinioni e mezzi, vivremo una vita diversa da quella dei nostri genitori e diametralmente opposta a quella dei nostri nonni. La tecnologia, più di ogni altra cosa, è il discrimine che ci allontana. Ciò che dovrebbe aiutare a gettare ponti sta, invece, contribuendo a innalzare muri generazionali. Eppure, come i nostri genitori, ci troviamo in un periodo di estrema precarietà politica e forse dovremo assistere, o peggio ancora, essere coinvolti in una guerra mondiale, proprio com’è accaduto ai nostri nonni.

Questa è un’epoca strana da vivere.

Gli anni Duemila si sono aperti col botto. L’America, odierno Paradiso Terrestre, apparentemente inviolabile e invincibile, è stata colpita dritta al cuore da una freccia tanto mortale quanto inaspettata. Le Torri Gemelle si sono sgretolate e, con esse, la convinzione di vivere sotto una campana di vetro – la certezza, almeno nei paesi del Primo Mondo, di essere lontani dalla morte e dal dolore. Sono subentrati un’inquietudine e un terrore tanto viscerali quanto illogici. Nessuno è più sicuro di essere al sicuro.
E, nel mezzo di questa confusione, siamo nati noi; che non possiamo che riflettere le conseguenze di quest’atmosfera.

Siamo i figli dell’Incertezza e della Paura; da cui però non ci lasceremo soccombere.

Siamo i figli del mondo. Non conosciamo limiti, o confini. I nostri genitori vedono ancora, ben marcate, le linee che li rinchiudono in categorie, che li dividono: Nord/Sud, nero/bianco, uomo/donna. La nostra generazione non riconosce questi confini – li calpesta, li cancella, li confonde. Non c’è nessun filo spinato che tenga, non ci sono Colonne d’Ercole che riescano a bloccare la nostra voglia di cercare e di conoscere. Siamo “liquidi”. Siamo mille cose assieme. Facciamo mille cose nello stesso momento. Ci troviamo in mille posti contemporaneamente.

Siamo i fratelli del Web, di Internet.

Nati con un ritmo diverso da quello dei nostri genitori; non riusciamo ad aspettare, abbiamo eliminato il concetto di lentezza. In una frazione di secondo inviamo un lavoro, magari complesso, oppure soltanto un saluto a una persona dall’altra parte del mondo ed è un gesto ormai così abituale da togliere significatività al fatto che per la prima volta nella storia dell’uomo sono possibili interazioni tanto articolate.
Non siamo mai stati uniti con il resto del mondo come lo siamo ora e, a pensarci bene, sembra paradossale che, nonostante tutto, riusciamo a rimanere ancora così divisi.

Dovrà essere la nostra generazione a fare in modo che tale facilità di collegamento non degeneri in un volgare scontro d’interessi, ma diventi linfa per irrorare i progetti e le idee destinati a cambiare il mondo. Nello stesso tempo, però, non permetteremo che la vicinanza tecnologica sovrasti altre forme di vicinanza: quelle più naturali, come le amicizie genuine e pure.

Non ci lasceremo disumanizzare da uno schermo che brilla.

Tra le particolarità che ci definiscono e ci caratterizzano troveremo quelle più adatte a risolvere i grandi problemi del nostro tempo. Abbiamo tra le mani un mondo fragile, che lascia intravedere sempre nuove crepe: un mondo regolato da un equilibrio, tanto preciso quanto precario, che il genere umano sta alterando giorno dopo giorno. Si stanno già attuando delle soluzioni a riguardo, ma tra una decina d’anni non potremmo più far finta che il nostro pianeta non stia morendo: e lì dovremo dimostrare di essere cittadini rispettosi e sensibili nei confronti della piccola sfera in cui viviamo.

Tocca a noi dimostrare di essere cittadini rispettosi e sensibili nei confronti della piccola sfera su cui viviamo.

Ci confronteremo con una fragilità di fondo, che i conflitti internazionali stanno rendendo sempre più preoccupante. L’abolizione dei confini tra le nazioni ha comportato un’ovvia collisione tra culture, ideologie e tradizioni diverse. Cercheremo che questa “collisione” prenda la forma di un incontro e non di uno scontro. Proveremo a usare le nostre mani per stringere quelle di qualcun altro e non per imbracciare un’arma da fuoco. Cercheremo che ognuno si senta a casa in tutto il mondo, ovunque si trovi.

Per nostra fortuna, non avremo solamente problemi di cui occuparci.

Con il supporto della tecnologia, che avanzerà al nostro fianco, potremo valicare limiti mai attraversati prima e raggiungere obiettivi mai nemmeno immaginati. Siamo solo all’inizio della Nuova Era della Scienza: un processo che in pochi anni sta condensando secoli di ricerche e di scoperte e che ci aiuterà ad affrontare i grandi enigmi dell’uomo. Stiamo scavando nell’immensamente piccolo per cercare rimedi ai mali fisici e, contemporaneamente, stiamo esplorando nell’immensamente grande per trovare qualcosa – o qualcuno – che ci permetta di guarire dalla solitudine cosmica:

il male oscuro che ci preme sul petto e ci toglie il fiato anche in questo momento storico, in cui, mai come prima, l’uomo è in grado di socializzare con i propri simili.

Per fare tutto questo, per ricucire il nostro mondo o per scovarne di nuovi, non ci serviranno grandi economisti o abili demagoghi, che ci sappiano abbindolare con cifre e parole. Avremo bisogno, invece, di menti illuminate, di grandi pensatori, che disegnino modelli di società, nuovi, più fluidi, meno incasellati, capaci di affrontare la tempesta in cui ci troviamo.

Serviranno menti che riescano a vedere oltre le onde che minacciano di inghiottirci, che arrivino a scrutare la terraferma che ci aspetta.