Non si doveva far rumore.

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Il senso di vuoto. È proprio questa la sensazione che si può percepire nel momento in cui entri in quelle camere, che composte vengono chiamate casa.

I mobili confiscati dopo l’arresto della famiglia Frank, quella a cui ha appartenuto la famosa Anna Frank, non sono stati più riposti nelle stanze per volere del padre, Otto Frank. Il senso di non ritorno di quelle famiglie che non esistono più, spazzate in quelle camere a gas di Auschwitz è quello che egli ha voluto trasmettere con la sua decisione. La sospensione è quello che ho provato, quella del tempo che si è annullato nel momento dell’arresto come la vita, poi, di parte di quella famiglia: Anna Frank e la sorella, morte di tifo e la madre nella camera a gas di Birkenau. Sono rimaste però appesi sulle pareti ritagli di giornali, immagini di animali o delle celebrità del mondo del cinema che hanno fotografato la normalità e la quotidianità, la gioventù che è simile in tutte le epoche.

Durante la sofferta permanenza in quella casa nascosta nel magazzino di proprietà Otto Frank, i componenti della famiglia temevano il minimo rumore, lo scricchiolio del pavimento di legno, persino un colpo di tosse per paura di essere scoperti dagli operai che non erano a conoscenza del loro alloggio clandestino, i quali avrebbero potuto denunciarli.

In quel silenzio, è dove si confidava nel suo diario la giovane Anna.

Camere ampie dalle finestre sempre chiuse e un pavimento che cigola a ogni minimo movimento, camere che odorano di polvere e di cauto vissuto, ritagli di giornale e fotografie incollate sulle pareti: quella recitata quotidianità che aiuta a dimenticare di vivere in limbo, in cui ogni certezza è messa in dubbio. Il destino è feroce e non dà alcuna possibilità di progettare il proprio futuro, di sognare e di desiderare ma è importante comunque farlo, per rammentarsi di essere umani, per vivere e la giovane

Anna lo sapeva e desiderava diventare una giornalista, amava tanto scrivere motivo per cui ha annotato tutti i suoi pensieri in un diario, quello famoso, ed è grazie a questo che si può ricostruire gli attimi di quella normalissima e straordinaria ragazza, delle sue passioni, di quella famiglia come tante altre, composta da brave persone che non dovevano essere loro a patire la sofferenza di essere perseguitati solo perché ebrei e a causa di questo che oggi sono considerati un simbolo.

Il simbolo delle famiglie distrutte e perseguitate perché ebree durante l’efferato regime nazista di Hitler.

Come tutte le case di Amsterdam, ogni stanza è a un piano diverso e le scale sono di legno, strette e a ogni passo cigolano e salendo, facendo sempre più rumore, aumenta il timore di essere scoperti nonostante si è solo visitatori di tempi di pace ma quel nervosismo, quelle ansie aleggiano tutt’ora fra quei corridoi di gente, che non sono solo nomi conosciuti per là pagine di un libro o in un articolo di un qualsiasi giornale, sono state anche carne ed ossa, sono stati visi, quelli ritratti nelle fotografie dietro le teche di un museo adibito nella casa, precisamente nei magazzini dell’azienda di Otto Frank.

Ci sono lettere scritte a mano in una pagina strappata, c’è il diario originale che si mostra finalmente aperto a tutti e non più chiuso e intimo, conoscibile solo da una giovane ragazzina.

Ci sono i verbali recuperati dalle macerie dei campi di concentramento, tantissimi nomi di estranei ma di cui si possono immaginare i destini. Nomi che sono diventati codici e vite, che sono diventati numeri, le cifre dei morti nei campi di concentramento e tra questi spunta il nome di Anna Frank.

Parlano con le lacrime coloro che hanno aiutato quella famiglia, gli amici e testimoniano e i visitatori, sollevando il viso a un piccolo televisore nel quale mostrano i video delle interviste, ascoltano commossi e le lacrime sono tintinnii nel silenzio. Lacrime che saranno custodite quando si uscirà da questo luogo in quanto, d’ora in poi, custodiscono una nuova consapevolezza, ossia di essere consci che tutte quelle famiglie ebree deportate avrebbero potuto essere nostre, famiglie normalissime. Che tutti avremmo potuto essere

Anna Frank, o una delle tante ragazze morte nei campi di concentramento e questo ciò che intimorisce, spaventa e può riaccadere se non siamo svegli, se non abbiamo il coraggio di conoscere e di criticare.

Questo è il pensiero che accomuna tutti coloro che infine escono dalla casa, assieme a quel solenne è rispettabile silenzio, celebrante ogni giorno il funerale di quella comunissima famiglia. È silenzio di rispetto e anche di timore, poiché nessuno è straordinario bensì comunemente soggetti alle raccapriccianti calamità del mondo. Ma se quella casa è aperta a tutti i cittadini di quel mondo, è per scuotere le coscienze: abbiate sempre il coraggio e la caparbietà di esplorare gli abissi in ogni cosa, poiché è li che risiede la verità; è questo il monito quindi, affinché non accada di nuovo.