Doveva andare così a Lisbona. 4 luglio 2004: l’arbitro tedesco Merk fischia la fine. La Grecia è campione d’Europa.

Il piccolo Mateus si avvicina al padre in lacrime, non capisce il perché di questo dispiacere, in fin dei conti era solo una partita di calcio ed allora cerca in qualche modo di consolarlo “Papà non dispiacerti troppo, vinceremo la prossima volta.” Il padre guarda Mateus, vorrebbe poter dare al figlio una risposta positiva ma si lascia vincere da una sincerità genuina: No, Mateus. Non ci sarà più una prossima volta. Noi siamo il Portogallo, non siamo la Germania, né il Brasile e nemmeno l’Argentina. Noi abbiamo perso la finale, in casa nostra, contro la Grecia. Non era riuscito Eusebio a farci vincere il Mondiale del 1966, ma questi ragazzi ci avevano fatto credere che fosse giunta finalmente l’ora di vincere qualcosa. No, Mateus, non doveva andare così.”

Secondo quelle regole non scritte, ciò che la fortuna ci toglie in alcune situazioni, ci verrà restituito in altre.

Ma queste regole, spesso, non valgono per tutti o almeno, prima di ieri non sembrava che valessero per la nazionale di calcio portoghese. Perdente. Incompiuta. Brutta. Era stata definita in tutti i modi prima di questo Europeo ed i tre pareggi in un girone oggettivamente abbastanza agevole avevano fatto crescere questi giudizi negativi. Ma dove volete che vadano? Non hanno vinto ancora una partita, non hanno vinto dodici anni prima quando tutto era apparecchiato per la grande festa, che volete che facciano in Francia? In effetti le prime tre partite non lasciano spazio a sogni, con la nazionale di Santos che termina al terzo posto con tre punti venendo ripescata tra le migliori terze. In altri Europei sarebbe uscita, ma non qui, non ad Euro 2016, perché ci sono gli ottavi da giocare.

L’avversario è temibile, è la Croazia che qualche giorno prima ha battuto i campioni in carica della Spagna.

Come può una squadra che non è riuscita a sconfiggere Austria, Islanda ed Ungheria passare il turno contro l’armata croata? Può, se è il suo Europeo. E può se a cinque minuti dai rigori i tuoi avversari prima sbagliano sulla linea e poi prendono un palo. Può se sul contropiede seguente la butti dentro in qualche modo. Si va a Marsiglia. L’avversario è la Polonia, non un ostacolo insormontabile. Ma il Portogallo arriva con la paura che la buona sorte possa abbandonare il proprio team da un momento all’altro. Ma si gioca il 30 Giugno, nella stessa data che 12 anni prima vide i portoghesi sconfiggere l’Olanda e staccare il pass per la finale. La partita è dura, si va di nuovo ai supplementari, poi ai rigori.

La tensione è palpabile, la semifinale è lì, con la speranza che il destino non si riprenda tutto ciò che sta concedendo ai portoghesi fino ad ora. No, non è il momento.

Quaresma segna e si va a Lione: c’è la semifinale contro il Galles da giocare. Ora qualcuno comincia anche a crederci, il Galles non può far paura. Vuoi vedere che il destino ha deciso di restituirci quel maledetto Europeo? E’ questa la frase che gira con maggiore frequenza nei locali di Lisbona ed Oporto nei giorni che precedono la semifinale. Non scherziamo, noi siamo la nazionale dei navigatori, noi siamo coloro che non vinceranno mai nulla. Arriva il giorno della semifinale, questa volta il Portogallo decide che è giunto il momento di vincerla nei novanta minuti. Ronaldo e Nani, il Portogallo è in finale. Di nuovo. Chi lo avrebbe mai detto? Con una vittoria in novanta minuti in sei gare, con un Ronaldo discontinuo, senza convincere. Ma cosa importa, si va a Parigi.

Questa volta però l’avversario fa paura, è la Francia che vuole festeggiare davanti i propri tifosi.

La stessa Francia che eliminò i portoghesi ad Euro 2000 ed al Mondiale 2006. Il Portogallo non può far paura a questa Francia. Cinque vittorie ed un pareggio in sei gare contro una sola vittoria in novanta minuti. Ma un’altra finale non si può perdere, la ferita di dodici anni prima non è ancora chiusa. Venti minuti e Ronaldo chiede il cambio. Tutto il Portogallo trema, le lacrime del campione che si deve arrendere ad un passo dal sogno. Di nuovo, come dodici anni prima. Che il destino abbia deciso di abbandonare i portoghesi nel momento più importante? No, non deve andare così. 

Il Portogallo cementifica una muro rosso davanti a Rui Patricio che tiene a galla i suoi, fino al 91′, quando Gignac si gira e supera l’estremo difensore.

Goal? No, la palla sbatte sul palo, attraversa la linea e passa a pochi centimetri da Griezmann. Fortuna? No, semplicemente non deve andare così. Si va ai supplementari, di nuovo. Il Portogallo è stanco, Eder che era entrato nel secondo tempo per Renato Sanches cerca in tutti i modi di far salire la squadra. Ah, che storia quella del Portogallo con i subentrati: agli ottavi ed ai quarti è stato Quaresma ad entrare e regalare il passaggio del turno, vuoi vedere che Eder…Non scherziamo. Ha giocato forse quaranta minuti in tutto l’Europeo, non la butta dentro nemmeno con le mani.

Inizia il secondo tempo supplementare, le squadre sono stanchissime ed i rigori sembrano avvicinarsi sempre di più.

Minuto 109′: succede tutto in fretta. Eder protegge palla, si gira e tira. Senza preoccuparsi dove sia la porta, senza preoccuparsi di nulla. Rete, Portogallo avanti e mancano solo undici minuti. Gli undici minuti più lunghi della storia portoghese. Non può finire così, non può la nazionale che non ha mai vinto nulla, vendicarsi dell’Europeo di dodici anni prima allo stesso modo. Invece può, l’arbitro fischia la fine ed il Portogallo è campione d’Europa. Doveva andare così. Il gol di Charisteas è un lontano ricordo, la nazionale dei navigatori perdenti si trasforma nella notte più bella e diventa leggenda. 

E’ la vittoria di Fernando Santos, uomo pragmatico che ha saputo cementare il gruppo, è la vittoria di Cristiano Ronaldo.

Chissà, forse senza le sue lacrime, il Portogallo non avrebbe trovato le ultime energie per calare il colpo finale. E’ la vittoria di tutti, ma è soprattutto la vittoria del popolo portoghese che può gridare per la prima volta nella storia: CAMPEÕES. Chissà, molto probabilmente non ha vinto la squadra più forte, non ha vinto il bel calcio ma ha trionfato il gruppo e soprattutto il destino che per la prima volta in 102 anni rende giustizia al Portogallo. Perché in fin dei conti, doveva andare così.

Lisbona, 10 Luglio 2016: “Mateus, Mateus, è fatta: siamo campioni d’Europa.”

Mateus, oramai maggiorenne si avvicina al padre e dodici anni dopo può riprendere quel discorso: “Avevi ragione papà, noi non siamo la Germania, l’Argentina oppure il Brasile. Noi siamo il Portogallo, per questo la vittoria vale di più. Siamo quelli che non sono nati per vincere, ma che hanno vinto. Noi siamo quelli che hanno riscritto la storia in una serata di Luglio. Siamo Noi! Il Portogallo. “ 

Obrigado Portugal.

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