Forse

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Mi ricordai all’improvviso di quella vecchia fotografia riposta, o meglio abbandonata, dentro al cassetto, il prato, i fiori,  il torrente… 

Forse era settembre.

Quel comodino,  posizionato nell’angolo più buio della stanza, lo superavo con fredda indifferenza, gli passavo davanti ogni mattina senza guardare nella sua direzione, ignorando.

Quel cassetto non lo aprivo da anni…forse da un settembre.

Nel traffico assordante di un solito lunedì mattina interruppi i miei pendolari pensieri, stoppai i miei ricordi e mi immersi nuovamente nella frenetica quotidianità. 

Un fiume di gambe e valigette scorreva alla mia destra fuori dal finestrino del taxi che mi stava accompagnando alla stazione. 

Partivo per un viaggio di lavoro!

Scesi ad una fermata in aperta campagna, il caldo e l’oro del grano mi accolsero in un abbraccio soffocante.

Una donna robusta e sorridente mi venne incontro avvolta in un tailleur forse troppo stretto, ancheggiando sui tacchi forse troppo alti.

Ci stringemmo la mano, un rapido contatto, un brivido, quasi un capogiro.

Salii sulla sua vettura, il fresco dell’aria condizionata induri i suoi capezzoli.

Con un sorriso accese il motore e iniziò con voce morbida a illustrarmi ciò che sarebbe stato il lavoro che avrei dovuto svolgere durante  quella settimana di permanenza presso la loro azienda.

Nominò uno per uno i membri dello staff che sarebbero stati i miei collaboratori, gli orari, le pause, i report; ormai non la ascoltavo. Avevo smesso di farlo nel momento in cui aveva pronunciato la parola “piscina”, il mio albergo era provvisto di una piscina.

Immaginavo il suo corpo immerso nell’acqua, i suoi capelli bagnati, il suo viso struccato.

Le scure lenti degli occhiali da sole mi permettevano di lanciare rapide e inosservate occhiate al pizzo del reggiseno che provocante e candido sbordava dalla scollatura della camicetta, forse troppo ampia.

Arrivammo a destinazione.

Aprendo la portiera dell’auto un’altra vampata di caldo torrido ci avvolse e ci accompagnò sino all’entrata dello stabilimento. 

Di nuovo l’aria condizionata. Rapidamente cercai i suoi seni, niente, troppo tardi, non era più al mio fianco.

Di spalle stava stringendo mani di uomini incravattati perfettamente rasati e profumati.

Andai loro incontro a testa alta e, con il braccio disteso, già pronto per le presentazioni di rito,  sfoggiai il mio miglior falso sorriso.

Quando finalmente raggiunsi l’albergo chiusi con forza la porta della mia stanza. Silenzio!

Mi tolsi i vestiti e aprii il rubinetto della doccia.

Mi lasciai massaggiare dal getto dell’acqua fredda mentre i pensieri scivolavano sulla mia pelle, scendendo sin sotto i miei piedi e in piccoli vortici scomparivano insieme alla schiuma del sapone.

Tra le lenzuola quella sera non trovavo pace. Forse troppo caldo. Forse…

Sentii bussare delicatamente alla mia porta. 

Alzandomi mi avvolsi un asciugamano intorno al corpo e a piedi nudi  mi avvicinai alla porta con la curiosità di scoprire l’identità del disturbatore.

Lei sorrise con indosso solo un accappatoio turchese o forse celeste.

Richiusi la porta.

Davo rapide e potenti bracciate; attraverso gli occhialini seguivo avanti e indietro ripetutamente la linea nera disegnata sul fondo della vasca.

Un respiro tre bracciate, un respiro tre bracciate…Tentativo inutile di cancellare quell’immagine; chissà poi perché volevo cancellare quell’immagine; forse non l’ho ancora cancellata.

Incredibile! Incredibile quella mattina non ricordavo più la password del Pc, mi sforzavo ma nulla, il vuoto, persa, cancellata come una passata di spugna sulla memoria.

Imprecai sottovoce. E all’improvviso, come per magia, mi venne servito un caffè fumante accompagnato da uno smagliante sorriso.  Distendo le braccia davanti al mio corpo e  appoggiai i palmi delle mani sulla scrivania spingendo indietro la sedia e fu allora che lei si interpose tra me e il monitor spento.

Forse la password mi tornerà in mente, pensai, o la sostituirò con quel nomignolo che stava sussurrandomi, forse è stato giusto averla dimenticata per un momento.

Ancora caldo, ancora la vettura ad attenderci nel soleggiato posteggio.

Curva dopo curva a grande velocità raggiungiamo la collina giusto in tempo per assistere al tramonto,  uno spettacolo di rosa intenso e velature celesti, o forse erano i suoi occhi celesti?

Il mio lavoro era terminato, non so come ma il progetto era stato portato avanti con successo e nei tempi stabiliti, la documentazione era pronta per essere consegnata ai potenziali acquirenti e i colleghi erano soddisfatti del lavoro di squadra.

Mentre guidava silenziosa, per accompagnarmi alla stazione, non sorrideva e neanche io trovai la voglia di farlo né di pronunciare nessuna parola. Il mio viaggio di lavoro era terminato, ritornavo a casa, dove già sapevo cosa avrei ritrovato:  la luce dell’ingresso accesa e la tavola in cucina apparecchiata, chiudendo la porta alle mie spalle lascerò fuori il caldo, il grano e due grandi occhi forse celesti.