Morirò avendo la consapevolezza di aver vissuto un grande amore.
Il principe azzurro l’ho sempre cercato, sin da piccola mi vedevo all’età di 26 anni sposata con due figli.
Provenendo da un piccolo paesino di provincia quella era l’idea che mi ero fatta del mio futuro e avendo come esempio il matrimonio felice e duraturo dei miei genitori non me posso fare una colpa.
Da quel paesino me ne sono andata appena ho avuto la scusa giusta per scappare dal primo amore che mi ha segnato per sempre, l’università era una causa nobile per giustificare la mia fuga da quel mondo di cui non volevo far più parte.
Sapevo che salire su quel treno significa lasciare la mia famiglia, i miei amici, le mie sicurezze e il mio passato. Senza paura, ma con un po’ di agitazione che forse era più adrenalina che altro, sentivo che più il treno si allontana dalla stazione di partenza, più mi sentivo a casa altrove.
A 26 anni no, non ero sposata e non avevo figli.
Ero in giro per il mondo, single, con una carriera da smussare, scrutavo con occhi attenti le persone che incontravo in cerca ancora di quell’uomo che mi mancava.
Mille esperienze, tanti viaggi e tante notti a lavorare.
Mi sarebbe piaciuto condividere con un compagno i pomeriggi a Londra, il caldo di Malaga, il lusso di Marbella, la stanchezza a Grenoble, le luci di Las Vegas, la neve di Cortina. Sarebbe stato qualcosa di più vivo, più vero se condiviso.
Mi sono dovuta bastare per anni.
Canottiera bianca, pantaloni alla turca, occhiale da sole e camminata spavalda.
Non sono sicura sia stato un colpo di fulmine, però ricordo che dal primo momento ho pensato che non poteva essere qualcosa di ordinario.
Il semplice tocco veloce e frugale della sua mano sulla mia schiena mi faceva vibrare dentro, mi portava alla mente mio padre, mi trasportava in un mondo sicuro, responsabile e tranquillo, ma nello stesso tempo dinamico ed effervescente. Il mio corpo e la mia mente volevano concedersi a lui, senza pudori, senza segreti, senza maschere.
Così abbiamo vissuto il nostro fidanzamento: nella serena complicità di una coppia che non si dava limiti, curiosa di esplorare le novità e che sapeva godersi la quotidianità scacciando la negatività, le polemiche e gli egoismi altrui.
Ricordo la cartina geografica appesa nel corridoio della camera da letto, nell’oceano Atlantico avevo scritto
“Ho sempre adorato viaggiare, ora con te significa vivere!”
E ogni volta che ci passavamo davanti chiedevo:
“Quindi dove andiamo?”
La risposta sempre la stessa:
“Non c’è fretta!”
Avevo paura che tutto finisse, volevo godermi tutto il più possibile.
Lui, alla fine non ci pensava, si godeva ogni giorno e quella sua serenità tranquillizzava anche me.
“In una storia non pensavo di trovare mai più
Quello che nel giro sai di un’ora mi hai già dato tu
Perché io e te per cercare di capire chi siamo
Siamo andati avanti che alla fine vuoi veder che ti amo”.
Questa canzone divenne la nostra colonna sonora, la musica iniziò a suonare quel pomeriggio quando ci guardammo sdraiati sul divano e ci dicemmo che non eravamo di nessun altro se non di noi.
Subito dopo, il primo ti amo.
Cinque anni di fidanzamento e dopo due di matrimonio arrivò il 29 settembre…quanto ho desiderato poter urlare di essere incinta!
E arrivò anche il 26 aprile con un parto d’urgenza senza un lieto fine.
Poteva scappare ma non l’ha fatto. Certo non sapeva cosa avrebbe dovuto vivere, ma non è scappato neanche quando abbiamo saputo la diagnosi di nostro figlio.
Avrebbe potuto, l’ avrei lasciato andare senza recriminargli nulla.
È ancora qui.
Non mento quando dico che non abbiamo mai litigato, certo abbiamo alzato la voce quando la disperazione ci ha assaliti, quando abbiamo perso il conto delle notti insonni per il malessere di nostro figlio, per i pianti inconsolabili e per le preoccupazioni.
Quell’ alzare la voce era solo un sentirsi ancora vivi, dimostrare che ancora esistevamo e dovevamo dimostrare al destino che eravamo più forti noi, infatti non abbiamo mai sbattuto la porta mandandoci a cagare, ma l’abbiamo sempre lasciata socchiusa per far entrare quel filo che ci ha sempre tenuto uniti nel nome del rispetto e della stima reciproca.
Ora i figli sono diventati tre, gli anni di matrimonio otto e da sei quando entro in crisi gli dico che non era questo il futuro che avevamo pensato per noi e per i nostri figli. Volevo viaggiare e far vedere la bellezza delle diverse culture ai nostri figli, non passare da un ospedale all’altro in cerca di quel sospiro di sollievo che non arriverà mai.
Gli chiedo:
” Cosa ne sarà di noi, come faremo? “
E lui che è ancora qui senza tremare, pensieroso, ma stretto nella sua forza mi risponde:
“In qualche modo faremo,
Assieme,
Sempre più forti di prima.”.
Lui è sempre qui e con lui mi sento meno persa.
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Ciao Silvia
Come racconti nella tua storia, la vita spesso ci sorprende e ci porta su strade inaspettate, è successo anche a me. La tua storia mi hai commossa e ti auguro il meglio per te e la tua famiglia.
Un abbraccio,
Ángeles
Grazie a te,
Per aver letto e per avermi scritto la tua emozione.
Sono contenta che siano arrivati i miei sentimenti.
Un saluto.
Grazie! Mi hai commossa ❤️