Dammi una parola e ci sviluppo un tema, dammi una frase e ci sviluppo un testo argomentativo, dammi un libro da cui è tratto un film e ci sviluppo una critica!
Non tutto il girato equivale alle pagine lette di un libro, di scritti e sceneggiati ce ne sono tantissimi, basta pensare a L’amante, romanzo della scrittrice francese Marguerite Duras pubblicato nel 1984, anno in cui ottenne anche il premio letterario Goncourt. Nel 1992 il regista Jean-Jacques Annaud ne trasse l’omonimo film; Memorie di una Geishadi Arthur Golden, pubblicato nel 1997 da cui il film del 2005 diretto da Rob Marshall, basato sull’omonimo romanzo; tutto quello che unisce la letteratura con il cinema è ormai un connubio, ma non sempre si riesce a non tradire le pagine scritte, come alle volte le pagine scritte sono ampliate di straordinaria bellezza. Questo dunque resta un dato di fatto soggettivo!
Vale la pena leggere il romanzo o vale la pena guardare la trasposizione cinematografica?
Una cosa è certa! Di sicuro guardare il film La solitudine dei numeri primi è stata una perdita di tempo, non avrei mai immaginato i personaggi di Paolo Giordano, sua opera prima, con il quale si è aggiudicato i Premi Strega e Campiello nel 2008, trasposti nel film di Saverio Costanzo del 2010 in quel modo così spicciolo e dozzinale come se fossero della merce di scambio. Mattia e Alice hanno perso forma e significato nel film. Loro nel romanzo sono due numeri primi gemelli: due numeri primi, vicini ma mai abbastanza per toccarsi davvero, una storia struggente fatta di vita reale e che avrebbe dovuto restare racchiusa nel libro, perché come in questo specifico caso, il film non da la stessa emozione del libro.
Altro titolo che merita di essere menzionato è: Le pagine della nostra vita è un film del 2004 diretto da Nick Cassavetes e tratto dall’omonimo romanzo di Nicholas Sparks, una storia d’amore e di riscatto tra i due giovani Noah e Allie, il destino ci mette lo zampino stravolgendo e rimescolando le carte in una narrazione senza eguali, bellissimo il film e strappalacrime il romanzo questa una di quelle poche accoppiate di eccellenza!
L’ultimo adattamento cinematografico Jojo Rabbit del regista Taika Waititi, liberamente ispirato alla fiction storica del Il cielo in gabbia di Christine Leunens edito da Sem il 21 novembre 2019.
Lo sapevi che la sceneggiatura era pronta dal 2011, ma bloccata a causa della mancanza di sostenitori che la finanziassero. Il tempismo si è rivelato perfetto, esce il romanzo in Italia e viene resa nota la data di proiezione del film nelle sale per 16 gennaio 2020.
Le vicende narrate nel film vedono un bambino di 10 anni Jojo Betzler protagonista insieme al suo amico immaginario, lo sappiamo tutti che avere degli amici immaginari nell’infanzia è una cosa normale, ma fino ad un certo punto, da qui in poi la normalità si disperde per diventare una eccezione, infatti l’amico immaginario di Jojo (Rabbit) è Adolf Hitler, ma ci pensi? Rabbit, ti fa subito pensare ad un coniglio ed invece da questo piccolo particolare si evince già l’ironia irriverente che ci accompagnerà durante tutto il film.
Una commedia nera, una versione esilarante del Führer come non hai mai visto prima d’ora.
Nella trasposizione cinematografica si è catapultati nella Seconda Guerra Mondiale in Germania, in cui il protagonista Jojo (interpretato dal giovane attore Roman Griffin Davis) è un fiero membro della Gioventù hitleriana, trascorre gran parte del proprio tempo in compagnia del suo amico immaginario Adolf (interpretato dallo stesso regista Taika Waititi). Preso mentalmente nella sua piena adesione all’odio razziale, lo troveremo infuriato nei confronti della madre, Rosie (l’attrice Scarlett Johansson) quando scoprirà che lavora per la Resistenza e che nasconde nella soffitta della propria casa una giovane ragazza ebrea di nome Elsa (Thomasin McKenzie). Nel romanzo della Leunens la data storica corrisponde al 1938, anno dell’annessione austriaca al Reich, Johannes Betzler è un timido adolescente.
Il ragazzo, dopo anni di propaganda a scuola, sedotto dal fascino del Führer, abbraccia l’ideale nazista.
Fin qui sembra tutto corrispondere egregiamente; diventa un membro della Gioventù hitleriana, ma a soli diciassette anni, (qui ci troviamo ad una variazione dell’età anagrafica) sfigurato da un’esplosione, è costretto a ritirarsi. Nel romanzo si parla di una deflagrazione, nel film Jojo parla con Hitler di bruciare la casa ed accusare Winston Churchill oppure patteggiare, quando scopre la rifugiata ebrea e volersene sbarazzare. Nel racconto de Il cielo in gabbia Johannes questo il nome del protagonista, feroce antisemita, comincia a spiare Elsa, eccitato dall’idea di poter controllare il destino di chi ha imparato a odiare. Elsa, costretta nella soffitta, dipinge e sogna a occhi aperti guardando un angolo di cielo dalla finestra.
Ben presto l’astio iniziale di Johannes si trasforma in interesse, poi amore e infine ossessione.
Tra i due si instaura una sorta di “gioco amoroso”, fatto di brevi battute e lunghi silenzi, slanci d’affetto, dispetti e accese discussioni. Elsa è prigioniera del suo nascondiglio e delle attenzioni di lui, ma la sua mente è libera di viaggiare. Johannes, invece, per quanto libero, si scopre sempre più prigioniero dell’ossessione per lei.
Improvvisamente la guerra finisce, Vienna si trasforma, e Johannes si accorge che, caduto il nazismo, Elsa non ha più motivo di rimanere lì. Così, per non perdere quella particolarissima relazione, che spazia tra passione e follia, dipendenza e indifferenza, decide di non farle scoprire la verità, manipolandola a suo favore.
Come la scrittrice, così anche il regista raccontano l’ambiguità dei protagonisti ma al contempo riflettono sul labile limite posto tra volontà di possesso e amore in bilico tra satira e dramma in uno stile ironico e pungente e se vogliamo pure folle e al di fuori dell’ordinario!
Le scelte sonore non trovano riscontro con l’ambientazione degli anni ’40; infatti si spazia da i Beatles a David Bowie, perché destinato proprio alla nostra generazione, che necessita di comprendere le pazzie antisemite del passato, affinché l’orrore dell’olocausto abbia per sempre il termine fine. Un libro di sicuro consigliato, come consigliato anche il film, assolutamente da non perderli.
Ti piacerebbe sapere chi è il fuoriclasse Taika Waititi?
Posso dirti che sua madre è ebrea e suo padre Maori. Noto anche come Taika Cohen, cognome preso in prestito dalla madre. Il regista, attore, sceneggiatore e comico; è nato nel 1976 a Wellington in Nuova Zelanda. Tra le sue opere che lo hanno reso celebre, lo ricordiamo per aver partecipato alla sceneggiatura del film d’animazione Oceania targato Walt Disney, il suo ruolo da regista nel film Thor: Ragnarok degli Studi Marvel e ti comunico in anteprima che sarà nuovamente lui a dirigere il quarto capitolo dedicato a Thor intitolato: Thor: Love and Thunder.