Il castello di Baux di Ninetta Pierangeli, Scatole Parlanti, Viterbo 2019, (pagine 205), è un romanzo con più trame, più tempi, più linguaggi. Nel 2015, nel castello di Baux, in Provenza, viene allestita una mostra in cui, tramite l’audioguida, gli oggetti parlano e raccontano dei loro antichi proprietari e delle loro storie leggendarie. Il protagonista del romanzo è, Bertrand Beçancourt, un nerd disoccupato, solitario e balbuziente. Tutto inizia con i Pink Floyd alla radiosveglia:“How I wish, how I wish you were here”… ma… ma you chi? Perché aveva messo la radiosveglia? L’aveva messa per svegliarsi e fare una gita al castello. Ma sulla strada per il castello compare una pubblicità con l’immagine di una bambina che colpisce moltissimo Bertrand. “I wish you were here” continuano a cantare i Pink Floyd. “You… you” è quella bambina.
Ma chi è veramente?
Bertrand si reca due volte a a visitare la mostra del castello. Lì, corazze, bandiere, armi e strumenti musicali medievali, raccontono le storie a cui hanno assistito, vicende di amore e di guerra, di passioni e di conflitti. Ascoltando queste storie Bertrand scoprirà la riposta all’incipit del romanzo, incontrerà la bambina misteriosa, sarà investito da una missione da compiere per la sua patria, troverà un lavoro entusiasmante e ritroverà un antico amore.
Il romanzo segue diverse piste ed utilizza un linguaggio aulico e quasi lirico nei racconti fatti dagli oggetti della mostra ed uno scarno, attuale ed essenziale per raccontare le vicende di Bertrand. Poesia e prosa, effusione e sintesi, si alternano in un paesaggio dell’anima che si dilata nel tempo, comprendendo uno spazio di duemila anni e mostrando come il cuore di un moderno informatico può essere molto simile a quello di un antico magio orientale.