Pareva vero, pensa. Pareva vero.

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Con le mani sulle spalle e i pollici sulla nuca mi hai scostato i capelli, mi hai scostato i pensieri, come l’amante in un gesto di tenerezza, come l’amico in un momento di trasparenza. Con un soffio hai sciolto i nodi e con le dita intrecciato discorsi. Pensa, parevano veri. Parevano veri.

Ad occhi chiusi, dentro le palpebre, si materializzavano ombre di oggetti inesistenti, le conseguenze di azioni mai nate, odori e colori, che parevano veri. Pensa, parevano veri.
Spalancavi le porte, ne sento il rumore, ce n’erano a migliaia, a milioni. Cosa cercavi? Cosa trovavi? Una clessidra, un tavolo apparecchiato, due tazzine di caffè, la luce rossa filtrata dai vetri pesanti di una chiesa che cadeva a pezzi, mentre fuori divampava l’incendio. “Il profumo dell’incenso, lo senti?”. Ti chiedevo. “Quello del bosco che brucia al tramonto è più intenso”.

Sussurravo. Il fumo, quanto fumo. Pareva vero, pensa. Pareva vero.

Spalancavi porte, non c’era serratura, trovavi donne bellissime che aspettavano te, i capelli lunghissimi e biondi come fronde, a onde come fronde, avevano catene ai polsi e alle caviglie, ma ti sorridevano, col bianco dei loro denti, nel bianco delle loro carni, il bianco delle loro vesti abbandonate sulla pietra fredda, aspettavano te, si offrivano a te.
Ma tu chiudevi la porta, ne spalancavi un’altra. Trovavi scale, dipinti appesi, disegni, bozzetti, trini e merletti, un divano, uno scranno con sopra un biglietto. Lo apristi. Tu lo apristi.

Gli occhi, i tuoi occhi, divennero cera, le labbra schiuse in un bacio ultimo che solo l’aria poté dissolvere, il cranio, il tuo cranio, si aperse in due punti, ne uscirono strazi, urla, grida e lamenti, ne uscirono due torri coriacee, solide e tortili, svettanti verso il niente. Le mani abbandonate, le dita ormai artigli, nessuna nuca da sfiorare, niente più capelli da scostare.
Ora ti vedo, sul tuo trono di anfibi e di rettili, guardi in alto, ma non c’è alcun cielo. Eppure parevi vero, pensa. Parevi vero.