Non è un mistero che il mondo del lavoro stia diventando sempre più inaccessibile. La crisi finanziaria, già opprimente prima del 2020, si è aggravata ulteriormente con l’arrivo della pandemia. Da studentessa, purtroppo devo economizzare. Ci sono le tasse universitarie da pagare, qualche spesa personale da effettuare, abbonamenti ai mezzi pubblici, affitto e, perché no, qualche piccolissimo sfizio. Questo mi costringe a gravare sulle spalle dei miei genitori, che mi aiutano anche troppo generosamente. Pensare a una casa tutta mia è impossibile, avere una macchina un sogno irrealizzabile, desiderare un figlio (in fondo, potrei volerlo) un’illusione, un miraggio.
Così, per provare a rendermi economicamente indipendente, mi do da fare: le esperienze in nero (poco sicure ma molto formative), non garantiscono una rendita sicura; anzi, a malapena mi permetterebbero di sopravvivere.
È un peccato, perché l’aver lavorato come traduttrice, scrittrice, cameriera, cuoco, aiuto-cuoco, lavapiatti, babysitter, guida turistica, receptionist, aiuto compiti, fotografa, avrebbe costituito un importante bagaglio di conoscenze: tutte, purtroppo, non certificate o senza referenze o ancora, svolte prima dei 18 anni.
La barra di ricerca su internet, poi, mi deprime già da vuota; perché so che, una volta fatta la ricerca, troverò solo richieste di candidati con una laurea magistrale o con istruzione diversa dalla mia (tornassi indietro, non so se avrei scelto il liceo). Quello che però mi fa ribollire il sangue sono le richieste per candidati neodiplomati “con esperienza pregressa”. Mi piacerebbe sapere come credono di poter trovare, specialmente per certi settori, profili in linea con la richiesta. Tuttavia, non mi butto giù il morale: continuo a tentare.
Per prima cosa controllo i concorsi pubblici (molti richiedono una laurea, ma alcune opzioni sono aperte anche ai diplomati). Dopodiché, cerco gli impieghi part-time, quelli a tempo determinato con possibilità di assunzione futura. Infine, mi armo della pazienza di un santo, perché è evidente che dovrò adattarmi a posti di lavoro precari, a contratti periodici e abituarmi all’insicurezza ma mi chiedo…è davvero giusto?
La parità dovrebbe esistere tra tutti i lavoratori, non solo tra i due sessi (altro tasto dolente per me, che potrei ritrovarmi penalizzata o costretta a scegliere tra carriera e famiglia).
Sono giovane, voglio solo lavorare: cerco di non essere di peso per la mia famiglia e, all’occorrenza, di aiutarli economicamente. A volte mi sembra di essere la loro zavorra, di non avere nessun progetto per il futuro, nessuna direzione.
Vorrei avere delle occasioni, non essere messa da parte ancor prima di cominciare (come avviene ogni volta che invio il CV standardizzato a una grande catena commerciale).
Vorrei non trovarmi a dover scappare dal Paese che tanto amo e vorrei che quella stessa nazione avesse un po’ di considerazione per me e per tutti quelli nella stessa situazione (almeno quanta noi ne abbiamo per lo Stato).