PYONGYANG. Kim Yo Jong, sorella minore del leader supremo nordcoreano Kim Jong, si vendica pubblicamente per il doppio inganno che la vede come belva nell’ombra -voce sola- contro le diffamazioni  sulla gestione dell’emergenza coronavirus da parte di Pyongyang.

Un tradimento inqualificabile, da parte di Seul, che vale una critica feroce. La musa del dipartimento –tanto per citare Honoré de Balzac- chiede al ministro degli Esteri di Seul di fare mea culpa per le parole “sfacciate”, che mirano a distruggere la comunicabilità tra storia e società, sia nel risvolto tradizionale –come forma- che in quello innovativo, ovvero la materia e il contenuto della politica estera.

Il tempo reale rischia di essere sconvolto da mere illazioni che, a suo dire,  non sembrerebbero “tener conto delle conseguenze”, sia sul tempo di narrazione -quindi sull’economia- che sul tempo delle scienze umane, che poggiano sulla fiducia nell’uomo che rappresenta l’angolo visuale dove trionfa la scrittura della storia attraverso cinema, televisione e fumetti. Questione di stile, insomma, ma anche di buon senso e di rispetto del limite che segna il confine tra fantasia e realtà.

E intanto la Corea del Nord continua a portare avanti la versione dei “contagi zero”, ribadendo che nel regno eremita non ci sono casi di Covid-19.