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Ahi serva Italia, di dolore ostello

Ahi serva Italia, di dolore ostello,

nave sanza nocchiere in gran tempesta,

non donna di provincie, ma bordello!

Nel sesto canto del Purgatorio Dante, dopo che in compagnia di Virgilio ha incontrato tra le anime appartenenti alla schiera di coloro che furono uccisi con violenza, Sordello da Goito – “O anima lombarda, come ti stavi altera e disdegnosa e nel mover de li occhi onesta e tarda!” – grande scrittore italiano del Duecento in langue d’oc, si lancia in una vera e propria invettiva.

Contro l’Italia, in primis, dilaniata qual è da lotte intestine, nido di corruzione e di decadenza, come se fosse una bestia selvaggia contraria a ogni disciplina e a ogni legge, successivamente contro la sua amata patria

– “Fiorenza mia, ben puoi esser contenta, di questa digression che non ti tocca, mercé del popol tuo che si argomenta”,

i cui cittadini, nella fattispecie i nemici della fazione guelfa dei Neri, lo hanno costretto a un infamante esilio.

E alla dolente rappresentazione di una società in cui sono banditi i supremi ideali dell’ordinato vivere civile, si aggiunge l’invocazione, quasi disperata, a un soccorso divino rappresentato da Cristo – “E se licito m’è, o sommo Giove che fosti in terra per noi crucifisso, son li giusti occhi tuoi rivolti altrove? O è preparazion, che ne l’abisso del tuo consiglio fai, per alcun bene in tutto de l’accorger nostro scisso?” -, che possa mettere fine al bordello italico.

La impietosa invettiva così si risolve in una sorta di compianto, che coinvolge imperatori quali Alberto dʼAsburgo e suo padre Rodolfo, accusati di essere negligenti con il Bel Paese, gente di chiesa, ritenuta usurpatrice del potere temporale, quando si sarebbe dovuta occupare solo della sfera spirituale, fazioni cittadine e famiglie gentilizie, signorie e comuni, dove tutti si atteggiano a “salvatori della patria”, senza averne le pur minime capacità, ma solo per ambizione, tutti posti sullo stesso piano, colpevoli e vittime. Insomma, il ritratto agghiacciante di un Paese che ha smarrito la retta via. E che, otto secoli dopo, la deve ancora ritrovare.

Carlo Rocchi

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