Elogio dell’imperfezione. Giorni fa, guardando in televisione un talk-show, gli occhi mi sono corsi al volto di unʼospite in studio: una donna sui quarant’anni di bell’aspetto, conduttrice televisiva, colpendomi in modo particolare il naso, leggermente asimmetrico rispetto alla linea media verticale dellʼovale del viso. Alla Barbra Streisand, per intenderci.
Orbene, mi ha favorevolmente impressionato lʼimperfezione di quella faccia, di un fascino inconsueto, oserei dire dal sapore antico.
Così, poiché da un pensiero ne sgorga subito un altro, in una catena immaginaria che è la prerogativa di una mente pensante, mi è venuto in mente, appunto, la situazione in cui versa attualmente la mia squadra del cuore, la Roma: lʼeterna incompiuta del calcio italiano e internazionale, e perciò tanto più affascinante. Specialmente se paragonata allʼattuale Juventus, la “squadra perfetta” che vince sempre, salvo rarissime eccezioni, le quali, quando ciò accade, fanno gridare a un evento miracoloso.
E mi sono domandato se non sia più stimolante tifare per una squadra che ti tiene sempre sul chi vive, che quando gioca con un avversario, debole, medio o forte, non sai mai come va a finire, e ogni vigilia rappresenta un tormento, perché anche lʼultima in classifica rappresenta un potenziale pericolo, rispetto a una squadra, che, ancor prima di scendere in campo sai già come andrà a finire.
E mi sono domandato, ancora, se non sia più gratificante il pensiero di migliorarsi rispetto a una situazione in divenire. Perché, parliamoci chiaro: a chi perfetto lo è già, crogiolandosi nella sua superbia, non gli resterà altro che fare i debiti scongiuri. Prima o poi arriveranno anche per lui i famosi ʻtempi cupiʼ, sì, proprio quelli di cui i romanisti sono massimi esperti.
Pertanto, tornando al naso della nostra gradevole quarantenne, gli consiglierei di tenerselo così comʼè: attraente nella sua imperfezione. Ma sono certo che si tratta di un suggerimento inutile.