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Honda GL 1000 GoldWing

Quando arrivò in Liguria per la prima volta la Honda GL 1000 GoldWing, io ero già un appassionato motociclista, ma del tipo per il quale il concetto di moto era che il corpo e la moto doveva essere una cosa unica, una sintonia.

La moto doveva essere abbracciata come un amante; sella e serbatoio dovevano essere in contatto fisico con il corpo per poter sentire tutte le sensazioni e vibrazioni come se si stesse sul ventre di una donna e dominarne la sua potenza, ma ne contempo, essere decisi e delicati da poter affrontare la strada e dipingere, piega dopo piega una scia di vento, mentre il rombo, come un tuono che arrivava potente, rilasciava il suo sound lungo le strade per sentirlo per chilometri e chilometri.

Sensazioni uniche che ti lasciavano soddisfatto e appagato.

Fu così che un certo Claudio, che importava autovetture tedesche e moto giapponesi, conoscendo la mia passione, ma non conoscendo il mio stile e non essendo lui un motociclista quindi inesperto nel valutare la differenza tra una moto e l’altra, pensò una sera di invitarmi per un aperitivo con lo scopo di presentarmi una novità che mi avrebbe sicuramente sconvolto, ad un punto tale da poter vendermi in anteprima qualcosa.

La sera dopo l’aperitivo mi portò nella sua sede operativa e lì mi fece vedere per la prima volta in Liguria, la Honda GL 1000 GoldWing.

Effettivamente rimasi sconvolto da quella moto, anche se non era il mio genere; ma vedere una novità così maestosa, mi destò entusiasmo generando interesse e curiosità. Un motore raffreddato ad acqua che poteva stare comodamente su di una autovettura, la sella che sembrava una poltrona, io che ero abituato invece alle quelle che erano il minimo indispensabile per starci seduto, mi impressionò, e rimasi veramente affascinato da tanta bellezza. In effetti non vi erano modelli italiani simili a questa.

Il Claudio era quasi convito che l’avrei comprata, bella com’era con quel suo verde smeraldo e quell’enorme motore lucido e sontuoso.

Al malandrino venditore ora gli toccava la mossa finale: mi mise le chiavi in mano e conoscendomi, si astenne di venire in sella. Mi disse semplicemente che mi avrebbe aspettato mentre avrei fatto un giro quanto tempo avrei voluto, e poi ci saremmo visti lì. La moto era grande e pesante, quindi montai sopra con cautela la tirai giù dal cavalletto e rimasi sorpreso: la moto era equilibrata e non si sentiva il suo peso, a meno che non piegarla su di un lato da ferma, pensai. Allora sarebbe stata dura tenerla; 300 kg son sempre tanti.

La tenni in moto alcuni minuti. Dal motore si sentiva che di potenza ne aveva. Ingranai la prima e mi accorsi che il cambio era delicato e di facile inserimento. Così partii, e lì iniziò una sgradevole sensazione: a bassa velocità dava una sensazione come se la forcella anteriore ondeggiasse, probabilmente dovuto al motore, il quale avendo due cilindri per parte, a bassa velocità creava una oscillazione che dava quella sensazione. Poi magari c’entravano anche le forcelle che davano una consistente leggerezza anteriore, ma anche il manubrio largo forse amplificava l’incidenza non essendoci abituato. Ma superai subito quella problematica dopo un paio di partenze.

Ero in città il che di certo non mi consentiva di saggiare quel mostro, ma già si sentiva la sua potenza.

Alla fine andai in una via dove potevo dare gas senza problemi e lì ogni cambio marcia e apertura di gas era di una rapidità tale a salire di velocità recando puro piacere ed l’entusiasmo per continuare. L’alta velocità si raggiungeva in pochi secondi, e il tutto era proprio sensazionale.

Ecco però, che arrivato in un percorso tortuoso fatto apposta per capire come la moto si sarebbe comportata e dove la velocità non poteva superare i 100 km, la presi con le mollette; la potenza era tanta e poteva essere pericoloso se prima non capivo le sue reazioni.

Curva dopo curva mi accorsi che la moto era diversa da quelle che ero abituato a guidare benché di cilindrate inferiori, moto che dovevi avere braccia forti, e la moto la dovevi piegare tu.

Ma con la Honda 1000 GL sarebbe stato un grave errore: la moto andava giù anche piegando un gomito. La leggerezza era tanta, ma non aveva la capacità di fare piega su piega, curva e contro curva. La sua mole era destinata ad altri usi, come per lunghi viaggi autostradali ed era la moto giusta per questo. Ma quando sarebbero arrivate curve strette, benché avessi già preso confidenza con lei, mi accorsi che aveva dei limiti, perché andando giù troppo, toccavi. E poi, i freni nonostante la soluzione dei tre dischi nelle pinzature potenti, prima di una curva veloce non erano il massimo, per cui era strettamente consigliata per una guida da turista.

Ritornai indietro e raggiunsi Claudio, sorridente e sicuro che la GoldWing sarebbe diventata mia, ma gli spiegai che nonostante fosse una moto affascinante e un esemplare unico per quel periodo, non era la moto per me. Lui capì e mi disse va beh, nel tempo ci sarà sicuramente un’evoluzione di questo veicolo, e tu nel frattempo metterai la testa a posto e ne riparleremo.

Beh la testa non è ancora a posto; per una poltrona viaggiante ci sarà tempo più avanti.

Scrivo dopo molti anni questa dedica in ricordo della Honda GL 1000 GoldWing, una moto che aprì la storia delle maxi moto da viaggio, anche se non adatta a me, fui felice e lo sono ancora di averla guidata.

Honda GL 1000 GoldWing di Nico Colani

Nico Colani

Nico Colani nativo di Genova. Si diploma elettricista e in elettronica ed in seguito la sua passione per il digitale lo vede applicarsi da autodidatta in informatica e sviluppo web, poi è titolare per vari anni di una piccola impresa di trasporti. Nico assiste al fiorire di periodi di grande boom industriale ed economico per l’Italia partecipando anche a varie attività sindacali per la tutela dei diritti lavoratori. Eterno pensatore e provocatore, Nico Colani si è sempre impegnato, attraverso vari mezzi di comunicazione come il suo blog decennale di satira “Guanot” e più recentemente con “Il Macigno” ad individuare i grandi paradossi sociali nella vita contemporanea fino ad estrapolarne le sue dissonanze. Il suo è non solo un invito a meditare, ma a sollecitare pareri al fine di aiutare la propria società a ristabilire gli equilibri sociali, culturali ed economici persi nei cambiamenti generazionali dove si è scelto di crescere e maturare senza consapevolezza storica e culturale del proprio paese di origine. Il suo motto è sempre stato “Ruit Hora”, ovvero “Il Tempo Fugge”. Isabella Montwright

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