Il borgo della mia infanzia

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Il borgo della mia infanzia


Il borgo, sorto negli anni mille per volontà degli Abati tedeschi, che governavano la potente Abbazia, ha mantenuto il severo impianto del Medioevo:vicoli stretti e pendenti, case addossate l’una all’altra, spesso appoggiate alle mura di cinta.
La pietra vulcanica locale, in origine di color grigio chiaro e splendente al sole per la quantità di mica che incorpora, si è annerita nei secoli.
Tutto l’insieme ha un aspetto tra il severo e il triste, che si accentua nei mesi invernali, quando rari sono i raggi del sole, sparito il verde intenso degli estesi castagneti, trasformati in una monotona macchia bruna, ingentilita di tanto in tanto dalla neve.

A ridosso del monte, sono visibili le due alte ciminiere della miniera di mercurio, aperta dai Tedeschi tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900.

Tra Longobardi, monaci con vangeli e canti gregoriani, finanzieri e tecnici che gestiscono la miniera, un legame millenario ha unito la comunità alle genti germaniche.
La popolazione è fatta da pochi proprietari terrieri, da minatori, da boscaioli e da agricoltori spesso imparentati tra di loro: l’ambiente montanaro è chiuso: i matrimoni si sono ripetuti nei secoli all’interno del gruppo e la lingua si è cristallizzata con desinenze in u, di chiara derivazione dal latino volgare.
In inverno, dopo l’Ave Maria, il borgo si spopola: restano aperte solo le osterie dove un mediocre vino è la sola modica consolazione per una giornata faticosa.
Nelle tarde ore si sente il vociare inconcludente e il canto confuso e stonato di qualche ubriaco.

Al mattino, questa Comunità, che nella notte ha perso la propria memoria, sospesa la propria esistenza, gradualmente rinasce.

Si affaccia sui vicoli ad orari diversi, a seconda dei mestieri: il risveglio è lento, le voci sommesse; si torna alla vita lentamente, quasi di malavoglia.
D’inverno escono per primi i minatori; si avviano verso l’ingresso della miniera con il casco e le lampade ad acetilene; a tracolla portano il tascapane che contiene il loro desinare.
Indossano scarponi chiodati, ma procedono senza far rumore; camminano silenziosi, spediti; sanno che il lavoro, anche se gravoso, è un dono, un privilegio, un dovere.
Hanno sempre saputo che è anche un privilegio scavare nel buio delle miniere, dalle quali qualche volta non si torna.
Alle sei del mattino sono già alla bocca del pozzo ; scendono sottoterra; si sentono le voci basse dei brevi saluti: si muovono in molti ma il loro passare più che ad un rumore assomiglia ad un brusio.
Se è estate, vedono il sole già alto ad oriente per qualche minuto, poi la loro notte comincia: rivedono la luce dopo le due pomeridiane.
Malgrado la fatica, molti usciranno dalla miniera per andare nel campo e diventare agricoltori.

Forse dopo una notte interminabile sottoterra, l’angustia degli avanzamenti (1), l’acre odore della polvere da sparo delle mine, il pulviscolo delle volate (2), la fioca luce delle acetilene, hanno bisogno di aria pulita, di verde, di sole, di luce.
D’inverno passano dal buio esterno a quello del lavoro; quando usciranno all’aperto, il tramonto arriverà presto ed è come se abitassero vicino al polo.
Al mattino presto si svegliano anche i vetturali, coloro che si recano in campagna con gli asini e i muli; li prelevano dalle stalle poste sotto le abitazioni; torneranno a sera con some di legna, di uva, di fieno. Si sente sul selciato lo sbattere metallico degli zoccoli ferrati degli animali.

Il suono della campana chiama i fedeli alla prima Messa; le donne con lo scialle in testa entrano in chiesa: nell’interno gelido e male illuminato recitano orazioni in un latino storpiato che non comprendono, alla luce tremolante delle candele.
Per le vie del borgo c’è ancora silenzio; passa qualcuno di fretta, più ombre che persone; poi nelle prime ore del mattino le donne escono di casa; vanno con la loro bottiglietta a prendere il latte che dovrà essere bollito.
Si fa colazione con caffè d’orzo, latte e pane abbrustolito sulla piastra della stufa.
Si va a fare spesa nelle botteghe del borgo: tutti i generi alimentari sono sfusi, messi in contenitori, e consegnati, avvolti in carta di paglia o carta oleata.
Le donne si dirigono verso la fontana della piazzetta, con brocche di rame per attingere acqua: in molte case non esistono le tubazioni.

Per lavare gli indumenti si incamminano verso il lavatoio pubblico con il “capisteiu” (3) pieno di panni, che riporteranno a casa profumati dal sapone di Marsiglia.

Le più povere lavano anche per le persone più abbienti: l’acqua che proviene dalle sorgenti della montagna è gelida e le loro mani sono rattrappite dall’artrite e dai geloni.
Per il grosso bucato si usano le conche, buttando sulla cenere, posta sopra un canovaccio, pentoloni e pentoloni di acqua bollente. La cenere ha un potere sbiancante, il sostituto in un certo senso dell’odierna candeggina.
Il lavoro è lungo e laborioso.
Una volta alla settimana si fa il pane, lavorando l’impasto per ore e facendolo lievitare coperto da un panno bianco. Con le sette pagnotte, disposte su una tavola, ci si reca al forno per la cottura.

Il calzolaio della piazzetta Della Chiesa aggiusta e riaggiusta scarpe, usurate dal tempo , compiendo autentici capolavori.
Molte case non hanno termosifoni: ci si scalda alla fiamma del focolare , con la stufa in cucina, con gli scaldini, piccoli recipienti che contengono brace ardente e si va a letto con il “prete”(4)

(1) Avanzamenti: in termine minerario significa avanzare nella roccia alla ricerca del materiale, scavando e se necessario usare anche degli esplosivi.
(2) Le volate sono l’insieme di mine che brillano
(3) Il “capisteiu” è un termine dialettale . Si trattava di pun capiente contenitore in legno concavo, con bordi rialzati per tutto il perimetro.
(4) “il prete” era un aggeggio in legno con una forma a barchetta che permetteva di mettere in basso lo scaldino senza peraltro bruciare le coperte, per
riscaldare i letti, altrimenti gelidi.


Il borgo della mia infanzia

Di Impera Romani

8 COMMENTS

  1. Quello raccontato da Impera è anche il borgo della mia infanzia. I luoghi, gli odori, i sapori, i suoni descritti sono a me familiari come ricordi di ricordi narrati. Grazie per le emozioni che mi hai regalato.

  2. Ho letto con piacere “Il borgo della mia infanzia”, in cui ho riconosciuto molti tratti del paese in cui è nato e ha vissuto mio padre e dove anch’io ho trascorso per molti anni le mie estati, da ragazzo e poi da adulto.
    Addolcite dalla memoria, il tuo scritto fa tornare in mente immagini di persone e luoghi, echi di rumori, suoni e profumi di un tempo, tutto un mondo che la distanza che lo separa dall’oggi non riesce a cancellare.
    Al contrario, le luci e le ombre del mondo di adesso, il “qui” e “ora” che stiamo vivendo, ne ridefiniscono meglio i contorni ed offrono ulteriori spunti di riflessione e di approfondimento riguardo ai valori e alle opportunità di lavoro su cui poteva (e può) ancora contare la comunità di persone che vive nel suo territorio. (Esaurita la risorsa mineraria del mercurio, la montagna con la sua storia, il suo paesaggio, le sue acque, i suoi boschi e l’inventiva dei suoi abitanti sono convinto che possa offrire ancora molte ricchezze su cui costruire nuove e buone condizioni di vita).
    Con affetto
    luigi