Proprio qualche giorno fa, riordinando i miei libri tra gli scaffali, mi sono ritrovata in compagnia di Zygmunt Bauman, con il suo testo “La società liquida” tra le mani. Affascinata dalla sociologia come scienza, mi sono fermata a riflette sulla società odierna: non mi riferisco a quella che pian piano si è delineata in questo secolo quanto a quella che, un po’ demolita, sta nascendo in questo 2020.

Così, dati i tempi, mi viene spontaneo fermarmi e chiedermi: ma adesso, chi siamo? Ci sono io?

Non che in precedenza conoscessi la risposta corretta a questi quesiti, come la maggior parte delle persone, ma so che se mi fosse stata posta la domanda per rispondere avrei usato il nome di un lavoro, una posizione sociale, o che so, una passione per identificarmi: venditrice, insegnante, magazziniere, promoter, operaio, studentessa, intrattenitrice, segretaria, consulente di bellezza, cameriere, designer… Scrittrice. Mentre, adesso? Certo, le passioni restano. Colui che disegnava nel tempo libero in questo momento probabilmente sta disegnando, colei che ritagliava spazi di tempo tra un lavoretto e l’altro sta cucendo, chi voleva imparare a fare dei pasticcini e all’opera, e chi ama rilassarsi stando semisdraiato sul divano starà leggendo.

Certo. Ma il mio status? E la mia mente, in che direzione va?

Adesso che ho (e che abbiamo) tutto questo tempo a disposizione, pare che possiamo essere tutto e nulla allo stesso momento: cuochi, fanatici delle serie Tv, ideatori di un nuovo lavoro, compositori musicali, filosofi, medici, addirittura giornalisti.
Non sto svalutando nessun mestiere né ambizione, spero mi stiate seguendo, in questo ragionamento. Dopotutto ho sempre trovato difficile comprendere chi vogliamo diventare da grandi: sia a livello personale sia a livello lavorativo. Chi ci indirizza versa ciò che veramente vorremmo realizzare?

E se esiste qualcuno in grado di aiutarci a capirlo, concretamente, sarà fattibile?

Credo che adesso sia impossibile dirlo: poter fare tante cose, dilettarsi in più ambiti sicuramente aiuta, ci fa riscoprire parti di noi che magari non avevamo modo di mettere in gioco, di questo non ne dubito; magari per alcuni questo periodo è proprio una “riscoperta”. Per altri, però, credo sia un po’ il contrario, soprattutto tra gli adolescenti, i quali avevano probabilmente appena deciso il corso di studi da intraprendere, lo stesso che li avrebbe portati a degli stage, a un diploma; tra quelli che lo avevano appena cambiato, incerti, o che stavano cominciando a comprenderlo.

Forse la mia riflessione è troppo amplia e astratta? Ovvia?

La risposta concreta potrebbe essere “per il momento è così, ci rialzeremo più forti di prima”? Lo spero. Solo che non riesco a formulare una cosa univoca, a soffermarmi su una verità che possa andare bene per la maggior parte degli individui che compongono la società. Dalle madri in quarantena con i figli, ai padri che non possono lavorare e che sperino arrivi qualche aiuto monetario dal governo per dar da mangiare ai propri figli, lo stesso che passerà il pomeriggio tra la noia e il conteggio delle monetine che riesce a racimolare. Un modo di leggere questo periodo storico che sia fedele, ecco, a descrivere il mutamento a cui stiamo andando incontro, tra contratti lasciati scadere, altri mai stipulati, colloqui annullati, promotrici otto ore in mascherina con il terrore di tossire anche solo per schiarirsi la voce.

Dico, già in precedenza era tutto sconnesso, ma durante e dopo questo, come sarà la società? Più distaccata o più unita?

Si continuerà ad avere voglia di lottare per il proprio futuro o lasceremo che si svolga secondo i suggerimenti degli altri e facendo terminare continuamente le giornate con “speriamo che domani vada meglio”/”speriamo nel prossimo colloquio”/”magari un giorno lavorerò”? Potrei continuare per pagine e pagine, ma mi fermo qui. Resto in prospettiva di più certezze, le stesse che adesso, già instabili, pare si siano sgretolate in mille pezzi e che di conseguenza rendono molte persone passive.

Voglio essere chiara: possiamo essere chi vogliamo, continuare a cambiare stile, sperimentarci sempre in campi nuovi, sfruttare questo tempo al meglio, metterci in discussione, informarci su argomenti riproposti e ritrovarci in essi, d’accordo o in totale contrapposizione.

Conoscere, apprendere, prendersi un attimo di calma e ragionare. Cioè, almeno i più piccoli ed i più agiati. Ma come potremo e potranno (soprattutto i futuri lavoratori) rivedersi in un incarico con il sorriso, facendo lavoro di squadra, con la loro divisa, il cartellino, quelle strette di mano tra colleghi, le chiacchere alla macchinetta o le colazioni veloci poco prima di iniziare il turno insieme, quelle pacche sulle spalle e le espressioni spontanee e ben visibili agli altri? Non saprei rispondere, e voi? Mi interrogo: che tipo di società si sta facendo strada tra le mascherine, la paura, i divieti ed il disinfettante con chi ha ancora tanti sogni, speranze, aspettative ed idee?

In che direzione stiamo andando?

Articolo di Sgrò Roberta