Spesso si tende a categorizzare la poesia come sonnolenta, incomprensibile e complessa.
Se fosse invece uno stupefacente mezzo, attraverso il quale l’uomo può esprimere sé stesso e portare Maraviglia, nel cuore degli altri?
Si noti il termine “Maraviglia“. Cos’è? Che cosa significa? “Maraviglia udirai, se mi secondi ” (Pg, XVI v. 33) scrive Dante, nel Purgatorio.
E fa riferimento a tale concetto moltissime volte nell’arco della Divina Commedia.
Attraverso il termine Maraviglia, in questo articolo, prendendolo momentaneamente in prestito da Dante Alighieri, si intenderà qualcosa che è tanto sconvolgente da scuotere l’animo e la mente umani.
La poesia è un linguaggio eterno. La poesia è il linguaggio della Maraviglia.
Dante, Foscolo, Leopardi, Montale, Baudelaire, parlano e continueranno per sempre a parlare attraverso i loro componimenti poetici.
Un motus che invade, nello stesso momento, il corpo, la mente e lo spirito: questo fa la poesia. Il poeta scrive solo ciò che lo spirito trasforma in poesia e detta. E, spesso, ai suoi occhi tale componimento è infimo, povero, insipido.
Un piccolo aneddoto:
Una donna di mezza età, professoressa rispettata, amata e temuta, si commuove, perché la poesia di una quattordicenne impacciata e timida, sulla Shoah, è penetrata fino a toccare le corde più nascoste del suo cuore, fino a ricordarle la madre, scomparsa pochi anni prima per malattia.
Quella professoressa offre una cioccolata calda alla ragazza, quel giorno. La bevanda, se pure provenisse da un distributore automatico, fu la più buona mai bevuta fino ad allora per la studentessa: sapeva di gratitudine.
Un componimento poetico ha creato relazione, mettendo in comunicazione due mondi apparentemente distanti.
Accade che i componimenti poetici consolino, facciano sorridere o piangere, amare o odiare, evochino ricordi lontani, portino pace, instillino gioia, creino confusione. Suonano i tasti del nostro cuore e producono una musica celeste, celeste non perché sia paradisiaca ma perché sa di eternità.
Possono parlare di paradiso o di inferno, morte o vita, tutto o nulla, il grigio o il nero ma sempre e comunque comunicano con il soggetto che legge.
È triste vedere oggi tanti volti appiccicati ad uno schermo che non sono interessati a sapere chi fosse Walt Whitman.
È triste che la poesia sia spesso associata a noia, vecchiume ed incomprensibilità.
Perché? Forse per insegnanti incapaci di comunicare la bellezza della poesia o forse perché l’ignoranza è sempre la scelta più comoda.
Ma all’uomo cosa interessa della poesia? Perché si studia e si legge poesia? Solo per cultura? Per pronunciare versi a memoria e risultare dotti? Solo per passione? Perché?
In realtà la poesia apre l’uomo all’infinito immergendolo in una dimensione che non gli è propria: la prospettiva di un altro. Un altro arrabbiato, deluso, innamorato, triste, gioioso, orante, ateo. Un altro che lo prende per mano scuotendolo da una visione ego centrata, ponendogli domande, mostrandogli paesaggi e contribuendo così a costituire un pensiero maturo e critico.
A cosa serve un pensiero maturo e critico? Serve a non prendere per verità tutto ciò che passa davanti ai nostri occhi, serve per essere liberi.
Leggendo poesia un io immerso nel suo kòsmos (termine greco che significa mondo), può emergere per immergersi nel kòsmos di un altro che, spesso, con lui non ha nulla a che vedere.
E tutto ciò può avvenire perché l’autore ha voluto condividere quel suo brano, quell’infinitesima parte di sé considerata contorta o scartabile e ha suscitato Maraviglia.
Si guardi, quindi, alla poesia come a un regalo.
Forse a guardarlo potrà sembrare antiquato e rottamabile ma “scartandolo” con delicatezza e rispetto, chiedendo anche aiuto a qualcuno che ne sappia di più, si potrà trovare una perla preziosa da custodire per sempre.
Ai posteri l’ardua sentenza.