Ispirato ad una storia vera

Una donna anziana, seduta su una vecchia poltrona. I suoi piccoli occhi sono di un marrone scuro e intenso. Attraversa con lo sguardo la finestra, poco distante da lei. Osserva il tempo che passa, la vita che scorre in via Canestro, la stradina che, dalla via di casa sua, timidamente si affaccia su via Passalacqua. Via Canestro è una stradina piccola, insignificante, un poco dissestata. E ogni giorno, la signora Rutelli, ormai impossibilitata a camminare, viene aiutata a sedersi sulla poltrona grigia e osserva silenziosa, proprio quella sciocca via. Oggi, però, non è un giorno come gli altri : è il giorno di Natale. 

“Signora? È ora di alzarsi. Oggi è Natale!”

Ivana voleva molto bene alla Signora Rutelli. Cinquant’anni, originaria della Polonia. Erano ormai dieci anni che viveva con la Signora Rutelli.

La Signora Rutelli era sempre stata molto dolce e paziente con lei e l’aveva sempre trattata con rispetto. Quando parlava solo poche parole di italiano, quando cucinava esclusivamente piatti tipici della Polonia, Liliana, questo era il nome della Signora Rutelli, non si era mai lamentata ma aveva cercato di aiutarla, con pazienza. Ivana era sposata e aveva due figli maschi, uno di trent’anni e l’altro di ventotto. Mandava a loro la maggior parte dei soldi. Tornava in Polonia solo l’estate.

Ivana si avvicinò all’anziana donna (dato che questa era autonoma soltanto nel mangiare) per cambiarla, vestirla e farla alzare.

“Ivana, il Natale è il giorno più triste dell’anno, lo sai bene. Mio fratello non chiamerà, neanche quest’anno. Sarà anche nato Gesù ma io non ho nessun parente con cui festeggiare, non ho nipotini che corrono per casa combinando marachelle, non ho figli che possano venirmi a trovare e mio marito è morto quindici anni fa. Solo una persona viene a trovarmi, ogni giorno: Sara. Chiacchieriamo insieme. È una donna gentile e generosa, sai che le voglio molto bene. Non salta mai un giorno.

Oggi, però, è Natale e festeggia con la sua famiglia. Come ogni anno, quando tornerà a casa, passerà per farmi gli auguri. Comunque sia, questo non è avere una famiglia. A te voglio bene, lo sai ma avere una famiglia è diverso. Tu hai una famiglia, non sai cosa significa, Ivana, non avere più nessuno. Perché, quindi, dovrei rallegrarmi del fatto che oggi sia Natale?” Disse, sospirando, Liliana.

Da quando era giovane, aveva sempre sognato di sposarsi e avere tanti figli. Poi aveva incontrato Sergio. Sergio era un banchiere. Distinto, elegante, bello e dal carattere forte. Lo aveva amato sin dal primo giorno. Sergio non aveva mai voluto avere figli e lei lo aveva assecondato. Aveva messo a tacere quel desiderio così intimo e radicato, il desiderio di amare e donare la vita, spendersi, stancarsi, soffrire, perdere tempo e soldi per dei piccoli e tenerissimi mostriciattoli urlanti, sempre bisognosi, dipendenti da te in tutto. Aveva soffocato questo desiderio, per il marito. E il carattere timido e schivo, non l’aveva certamente aiutata. Dopo tanto tempo, però, sentiva il rimpianto di una tale scelta. Il tempo. Quante cose faceva capire, il tempo?

Quel tempo ingiusto e traditore, passato così in fretta. Anziana e invalida, Liliana capiva che non avrebbe dovuto rinunciare al suo desiderio, per nulla al mondo. Ormai era tardi.

“E se oggi è un Natale diverso? Non lo sa Signora Liliana? A Natale accadono miracoli!”

Ivana spinse la sedia a rotelle di Liliana verso la finestra.

Liliana aveva sempre vissuto nell’agio. Vestiti costosi e raffinati, cibo di qualità, un grande appartamento perfettamente arredato con mobili in mogano : ai coniugi Rutelli non era mai mancato niente. Era una donna di gran classe. Occhi e capelli color nocciola, piccola e snella, colta e intelligente, Liliana aveva avuto molti corteggiatori in gioventù. Solo Sergio però, aveva saputo conquistarla e lei non aveva mai amato altri che lui. Ora passava le giornate a guardare da quella finestra. Giovani, vecchi, bambini. Fidanzati che litigavano, fidanzati che si baciavano. Clacson, insulti, urla di bambini che facevano i capricci. La vita scorreva come un fiume in piena, inarrestabile. Liliana si sentiva immobile, mentre il tempo le sfuggiva dalle mani. L’unico segno che il tempo scorreva anche per lei, era la vecchiaia.

I capelli grigi le incorniciavano il viso, le gambe erano ormai paralizzate, il colorito pallido, le rughe che segnavano il suo corpo.

Per la televisione non aveva interesse : tranne il telegiornale, non la guardava mai. Leggere, leggeva poco perché si stancava subito.

A pranzo mangiarono pasta con sugo e melanzane fritte ( Ivana aveva imparato perfettamente i segreti della cucina italiana) e un poco di pandoro.

Liliana non aveva molta fame.

Quel Natale, come ogni anno, si sarebbe concluso con una deprimente minestrina e un po’ di pandoro.

Si fece accompagnare a letto. La stanchezza che sentiva dentro, era una stanchezza esistenziale per cui rimpiangi troppe cose, ti senti disperatamente solo e vivi la tua vita come un ciclo, ogni giorno uguale a sé stesso, se pure con piccoli, inesistenti elementi di differenza. Il pomeriggio, verso le sei, si sarebbe fatta accompagnare a messa ma ora voleva soltanto riposare.

Ivana la fece alzare, verso le quattro e Liliana ritornò alla sua consueta postazione.

Suonarono al campanello. Liliana sussultò : chi poteva essere? Sara? Erano solo le quattro e mezza. Era troppo presto. Sara abitava al secondo piano. A Natale, passava sempre la sera per farle gli auguri.

Magari era suo fratello Tommaso. Forse aveva finalmente deciso che il giorno di Natale fosse il giorno adatto per visitare i parenti?

Liliana sentì che Ivana aveva fatto entrare due persone, un maschio e una femmina. La femmina doveva essere appena una ragazza, il maschio, invece, un uomo adulto dalla voce profonda. Che fossero venditori ambulanti? Anche a Natale dovevano cercare di venderti qualcosa?

Prima che potesse trovare una risposta, entrarono insieme ad Ivana nella sua stanza. Liliana sorrise, cordialmente : non le sembravano venditori ambulanti.

“Signora, sono venuti a trovarla. Le hanno portato dei cioccolatini.”

Ivana sorrise : era il miracolo del Natale.

L’uomo era alto, barba bruna macchiata di grigio, occhi e capelli dello stesso colore scuro. La ragazza invece era piccola di statura, aveva corti capelli biondi e occhi scuri.

“Signora Liliana? Sono Matteo, si ricorda? Sono figlio di Gino e Sonia che abitano al quinto piano. Venivo, tempo fa, il martedì e il venerdì, per accompagnare suo marito a passeggiare. Siamo venuti a farle tanti auguri di Buon Natale!”

Liliana si commosse.

Era il regalo più bello che potesse desiderare. Per molti, sarebbe stata solo una strana visita. Pochi possono comprendere cosa significhi sentirsi soli, indesiderati, inutili, uno scarto sociale. Nessuno ti pensa, nessuno ti chiama, nessuno viene a trovarti. Invece, oggi, due sconosciuti avevano perso tempo per lei, una ottantaduenne triste e sola. Avevano pensato a lei, nel giorno di Natale.

Lei, una piccola e fragile vecchietta, significava, quindi, qualcosa? La sua vita, aveva un senso?

“Matteo! Certo, venite cari. Come va? Chi è la ragazza con te? Cosa fate di bello?”

La ragazza, avrà avuto al massimo diciotto anni, era leggermente in imbarazzo ma guardava Liliana con interesse.

“Io lavoro come fisioterapista, sono sposato, ho quattro figli. Lei è Marta, mia sorella…Marta, presentati da sola!”

Matteo rivolse lo sguardo verso la sorella, dandole una pacca sulla spalla.

“Io sono Marta, faccio ancora il liceo e ho sedici anni. Buon Natale Signora Liliana!” lo sguardo dolce della ragazzina, commosse ancora una volta l’anziana signora.

Liliana li fece sedere sul letto e chiese ad Ivana di portare i cioccolatini in cucina.

Dopo aver portato la scatola in cucina, Ivana decise di lasciarli soli e andò in salotto per guardare la televisione.

Matteo raccontò delle sue passeggiate con Sergio. Marta sedeva, silenziosa, ad ascoltare. Liliana raccontò di come si fosse innamorata di Sergio.

Passò circa un’ora.

“Non voglio trattenervi oltre. Mi avete fatto un bellissimo regalo venendo qui, nel giorno di Natale. Non viene mai a trovarmi nessuno. Ho solo un fratello, Tommaso, più piccolo di vent’anni, vive ad Aosta e non chiama mai, nemmeno per le festività. Prima di andare, però, permettetemi di farvi un dono, anch’io. Vi dono una lezione impartitami dalla vita. Una lezione molto importante. Vorreste ascoltarmi?”

Entrambi annuirono, con dolcezza.

“Perdere tempo per ciò che vale davvero la pena. Perdete tempo, ve ne prego. Perdete tempo per gli amici, per le persone che amate, per la vostra famiglia. Per tutta la vita, io e mio marito abbiamo odiato perdere tempo. A cosa serve perdere tempo dietro ai figli? A cosa serve perdere tempo spiegando a mio marito che desidero profondamente averne, se tanto non sentirà ragioni? E a cosa serve perdere tempo a coltivare amicizie o a conoscere altre persone, quando poi, alla fine della vita, forse, ne rimarranno una, due, nessuna? A cosa serve cercare di tornare prima dal lavoro, se tornando più tardi guadagno di più?

A cosa serve perdere tempo a spiegare a mio marito gli atteggiamenti che mi feriscono, se poi li ripete ogni volta? Queste, amici miei, sono tutte fandonie! Invece, perdete tempo. Matteo, perdi tempo, ascolta tua moglie e i tuoi figli anche quando ti sembra dicano cose insignificanti, perdi tempo per i tuoi familiari. Marta perdi tempo per il tuo fidanzato, per i tuoi amici. Perdi tempo anche con quelle persone che ti sembrano non avere nulla a che fare con te, perdi tempo per chi è più solo, più fragile. Non possiamo perdere tempo solo quando ci fa comodo, solo per noi stessi. Qualche volta, pensiamo di perdere tempo, quando lo stiamo investendo, in realtà.

Tutto il mondo dice di impegnare il tempo nel raggiungere i propri obbiettivi. Io ho ottantadue anni e posso dirvi che, per essere felici, bisogna donare il proprio tempo agli altri. Sì, perché molto spesso, quello che etichettiamo come perdere tempo, è in realtà donare il nostro tempo, agli altri. Oggi, voi avete perso tempo, per me. Questo tempo perso, mi ha reso felice. Mi ha fatto risvegliare dalla paralisi della solitudine, dal pozzo di infelicità in cui stavo affogando. Vivevo ogni giorno, sperando di morire. Adesso, vivrò ogni giorno cercando di fare qualcosa per gli altri, nei limiti del possibile. E questo perdere tempo, mi restituirà il gusto per la vita. Ci sono persone che sembrano fallite, anonime e inutili.

Non raggiungono gli standard con i quali crediamo di poter identificare le persone “realizzate”. Non hanno molti soldi, non hanno prestanza fisica, non sono famosi. In realtà, passano la loro vita a spendersi per gli altri e questo li rende grandi. Ne ho conosciuto qualcuno. È vero, forse se non avessi soffocato questo mio desiderio di avere figli, oggi sarei comunque qui, magari i miei figli mi avrebbero abbandonato o lasciato in un ospizio. Eppure, sono certa che vedrei nei loro occhi, anche soltanto attraverso le foto, la certezza che, comunque, ne è valsa la pena.

La loro stessa esistenza, i pianti, le risate, i quintali di pannolini cambiati, i capricci, le notti insonni, i giocattoli, i baci, gli abbracci, le smorfie, la commozione di averli sentiti dire “mamma” o “papà” per la prima volta, me lo confermerebbero, ogni giorno della mia vita, nonostante l’esasperazione, la frustrazione, la fatica che provengono dall’essere madre.

Quindi, perdete tempo miei cari amici. Ora basta, non vi trattengo oltre.”

Marco e Marta, commossi da come quella donna avesse loro aperto il cuore, l’abbracciarono e la ringraziarono. Poi, dopo aver salutato Liliana e Ivana, tornarono a casa.

Quella sera Liliana, dopo essersi scambiata gli auguri con Sara, chiamò la banca e si accordò con il direttore, caro amico di suo marito, per donare tutto ciò che aveva messo da parte, alla Caritas.

Due giorni dopo, Liliana si addormentò per sempre.

Quando Ivana, dopo aver cercato di svegliarla, come ogni mattina, capì che era morta, scoppiò in pianto.

Guardandola bene, però, nonostante le lacrime, sorrise:

sul viso di Liliana non c’era tristezza o angoscia, perché da tre giorni a quella parte, aveva trovato, finalmente, la pace.

Marta andò al suo funerale.

Lei e Matteo portarono per sempre nel cuore il ricordo di quella signora e ciò che aveva loro insegnato.