N.B.: questo articolo che tratta il tema della spesa al supermercato, volutamente ironico ed esagerato, non vuole in alcun modo infastidire nessuno o prendere in giro qualcuno.

Mi considero una persona abbastanza ansiosa e nella mia vita ho vissuto dei momenti in cui l’ansia arrivava a dei livelli assurdi, come l’esame di maturità o il primo giorno di lavoro. Potrei stilare un elenco lunghissimo, ma nulla sarà mai paragonabile all’ansia provata durante la spesa al supermercato in quarantena. Ero io l’addetta al rifornimento settimanale di cibo visto che i miei genitori hanno più di 60 anni e mio padre ha anche avuto problemi cardiologici. Cosa sarà mai? Guanti, mascherina, gel igienizzante e si parte. La realtà però si è rivelata essere ben diversa.

spesa al supermecato

1. La LISTA DELLA SPESA

La sera prima del giorno fissato per la spesa, a seguito di un’attenta analisi socio pedagogica (il sabato no perché “la domenica è chiuso e tutti andranno a rifornirsi”, il lunedì no perché “si sa che la gente preferisce fare la spesa a inizio settimana”), ci mettevamo seduti tutti insieme, in stile cavalieri della tavola rotonda, e si stilava la tanto agognata lista. Per fare ciò dovevamo metterci d’accordo sul menù da osservare in maniera più o meno scrupolosa per i successivi 7 giorni. Uno penserebbe: eravate in tre, quanto sarà stato difficile decidere cosa mangiare?

E invece no, lì iniziavano le litigate: voglio la pasta con le melanzane, l’hai mangiata già 3 volte la scorsa settimana, io preferisco le zucchine, ecc. … Dopo aver raggiunto vari accordi sull’Asse Mamma-Papà finalmente si iniziava a mettere su carta i vari cibi e bevande in rigoroso ordine di ingresso. Prima frutta e verdura, poi pescheria e reparto frigo, in seguito gastronomia e macelleria per concludere con i surgelati e il reparto cura della persona. Poi a letto presto in previsione della levataccia del giorno dopo.

2. LA SVEGLIA PRESTO

Il supermercato del mio paese apriva alle 8 circa e, secondo le accurate stime dei miei genitori che non uscivano da settimane, il momento migliore per arrivare era l’apertura. Anzi, prima dell’apertura, visto che le persone che abitavano di fronte già alle 7 iniziavano a mettersi in fila per strappare il tanto agognato numeretto (cosa logica no? Ho casa a due passi e invece di tenere d’occhio quando c’è meno folla mi alzo all’alba per essere il primo del mattino). In pratica mettevo la sveglia prestissimo, roba che dormivo di più quando andavo a lavoro. Arrivavo, parcheggiavo e da quel momento iniziava un balletto che terminava solamente con il ritorno all’ovile. Prendevo la borsa a tracolla, infilavo tra le dita la moneta da cinquanta centesimi per ritirare il carrello, indossavo la mascherina e i guanti, chiudevo la macchina ed afferravo la lista, oggetto di tanta discordia.

3. LA PRESA DEL CARRELLO E LA FILA

spesa al supermecatoLe persone erano disposte in una fila ordinata e rispettosa delle misure di distanziamento sociale. Ci voleva una pandemia mondiale per far sì che gli italiani iniziassero a rispettare una fila in maniera civile! Dopo aver preso il numero e il carrello (ovviamente capitava sempre quello con le ruote rotte che mi obbligava a sforzi disumani, ma almeno evitavo di fare esercizi per mantenermi in forma) mi inserivo dietro l’ultima persona in attesa e da lì partiva il countdown. Molte volte mi è capitato di stringere tra le mani il biglietto 76 quando il cliente che si accingeva ad entrare era il 52. Ho trascorso ore intere jn attesa e ne ho approfittato per trarre qualche bilancio della mia vita. Dopo essermi resa conto di quanto facesse schifo ho iniziato a concentrarmi su dettagli essenziali come la scritta sopra l’ingresso o da quante mattonelle fosse composto il marciapiede.

4. L’INGRESSO TRIONFALE

Vi ricordate la scena di Jim Carrey in “Una settimana da Dio” quando canta “I’ve got the power”? Ecco come mi sentivo quando varcavo l’ingresso del supermercato. Sensazione che svaniva immediatamente quando mi voltavo e vedevo lo schieramento chilometrico che mi osservava con occhi pieni di rabbia e di invidia perché io ero dentro mentre loro ancora fuori.

È da quel momento in poi che iniziava ad assalirmi un’ansia mai provata prima, che partiva dalla punta dei capelli e arrivava fino al mignolino dei piedi. Guardavo la lista, ma improvvisamente le lettere assomigliavano a dei geroglifici e non ero più in grado di capire l’italiano. Cercavo di ricordare qualche sprazzo di discussione della sera precedente, ma tutto ciò che mi balzava alla mente era l’acceso dibattito tra melanzane e zucchine. Così afferravo 2 chili di entrambe, prendevo qualche frutto tropicale mai sentito prima o qualche specie vegetale dal gusto discutibile e passavo al livello successivo.

5. IL GIROVAGARE TRA I VARI REPARTI

L’ansia era sempre presente, seduta comoda sul carrello, ma almeno quando superavo il reparto frutta e verdura non avevo più lo sguardo omicida delle persone fuori. Iniziavo ad abituarmi alla costante pressione che percepivo intorno, che poi se ci rifletto ora non c’era nessun commesso con un cronometro in mano ed una pistola puntata alla tempia che mi mettesse fretta, ma era una sensazione che veniva da dentro. Fiera della lista dettagliata che stringevo in mano come fosse una medaglia d’oro olimpica e dopo aver riacquistato la capacità di leggere in italiano, girovagavo per i vari reparti con una fiducia e una sicurezza che vacillavano al primo dubbio. “La mozzarella è sempre stata qui, ma ora non c’è più.

L’hanno spostata questi bastardi!”, per poi rendermi conto dopo 5 minuti che ce l’avevo di fronte, ma a causa del panico crescente e della combo mascherina + occhiali appannati non riuscivo a vedere. Altro momento difficile era quando incrociavo una persona e iniziavamo un passo a due a distanza in cui l’altra provava a farsi avanti, poi si fermava, poi era il mio turno in cui tentavo di muovermi, ma mi stoppavo subito dopo. Tutto questo in loop fino a che uno dei due non prendeva l’iniziativa e si lanciava alla conquista del barattolo di ceci di turno.

6. LA CASSA E IL MOMENTO DEL PAGAMENTO

Ed eccomi lì, sul rettilineo finale. Dopo aver superato tante insidie vedevo il traguardo ad un passo. La cassiera, creatura mai amata come in quel periodo, mi si materializzava davanti in tutto il suo splendore. Sorridevo felice ed orgogliosa fino a che non realizzavo di avere un carrello pieno zeppo di roba che avrei dovuto passare in cassa per poi riporla con cura nelle varie buste DA SOLA.

La situazione era drammatica: gli occhiali ormai avevano la visibilità tipica della pianura padana alle 21 di un giorno di dicembre, le mani erano fradice per via dei guanti, l’ansia era giunta a livelli altissimi, tanto che se mi fossi misurata la pressione in quel momento avrei spaccato la macchinetta. Così iniziavo a lanciare le confezioni a caso e poi le gettavo alla rinfusa nelle buste e, ovviamente, le schiacciatine e i crackers finivano in fondo, sotterrati dal bagnoschiuma in formato famiglia e il pacchetto con 20 chili di carne, cosicché quando tornavo a casa erano in modalità frullato.

7. IL RIENTRO IN MACCHINA

Scaricavo tutto, rimettevo il carrello a posto e mi sedevo al posto di guida. Riponevo i guanti e la mascherina in un sacchetto, igienizzavo le mani e finalmente me ne tornavo a casa, luogo mai così tanto desiderato. Soltanto a quel punto realizzavo di essere sopravvissuta ad un’altra settimana di spesa e, soprattutto, di aver sudato manco fossi stata sotto il sole di Ferragosto senza ombrellone dalle 13 alle 16 con un maglione di lana addosso.

8. IL RITORNO A CASA

Neanche facevo in tempo ad uscire dalla macchina che mia madre iniziava con le domande: “Ti sei disinfettata le mani?”, “Dove hai messo la mascherina e i guanti?”, “Ti è successo qualcosa di strano?”. Poi partiva la catena di montaggio togli le buste della spesa-appoggiale a terra-riponi le cose nei vari cassetti-disinfetta tutto il possibile, in primis la mascherina. Fino a che non si arrivava al termine: the end, game over, colpo del ko. L’incubo era terminato e potevo godermi un po’ di pace tra le mura di casa, con in sottofondo le lamentele dei miei genitori perché non capivano per quale motivo avessi acquistato un barattolo di senape di Digione.

9. BONUS TRACKS

Situazioni alle quali ho assistito in prima persona durante la spesa al supermercato:

-Una signora sugli 80 anni che, nei primi giorni di quarantena, rivolta non si sa bene a chi, diceva mentre si trovava in coda davanti all’ingresso: “Eh, che periodo brutto, ma spero che il peggio sia passato. Ho avuto una febbre strana, ma tanto strana, neanche i dottori sapevano cosa fosse. Sono stata male tante settimane, ma ora sto bene”, il tutto ripetuto venti volte e ad ogni frase la gente si allontanava sempre di più dalla “simpatica” vecchietta.

-Un signore che, mentre stavo prendendo i sacchetti biodegradabili per mettervi la frutta, mi chiese in preda alla disperazione più assoluta: “Signorina, la prego, dove si trovano i sacchetti? Non so dove siano”. Sta scherzando o è serio, pensai tra me e me, così nel dubbio gli ho indicato le mie mani e lui, sconvolto perché non se ne era accorto, è fuggito imbarazzato. Chissà se sarà più tornato a prendere la frutta!

-Gente che si aggirava tra le corsie correndo e gridando frasi tipo “Oddio dove si trova il tonno?”, “Mi sto dimenticando qualcosa, ma cosa?” o “Vengo in questo supermercato da 20 anni, ma non mi ricordo dove tengono la carta igienica”.

-Conversazioni varie intercettate tra i clienti in fila che variavano dal mai fuori moda “Ha stato il Governo a creare il Virus, non cielo dikono, ma io so la verità e ve la diko!1!1!” al tragico “Moriremo tutti, questa è la giusta punizione per come ci siamo comportati negli ultimi decenni” per finire con quello che “Mai vista una cosa simile per una banale influenza”, ma poi lo scorgevi prima di salire in macchina che si disinfettava pure le suole delle scarpe.