L’uomo dal sacchettino di plastica … “Un po’ d’amore, solo un po’ d’amore!” chiese l’uomo chino sul suo bicchiere di vino vuoto al bar, rivolgendosi all’oste. Ma l’oste era troppo preso dalle sue faccende e non gli rivolse nemmeno un’occhiata.
“Un po’ d’amore, anche solo un briciolo d’amore”, sbottò l’uomo tra i singhiozzi e le lacrime che gli rigavano il volto stanco. “Un pizzico d’amore, anche solo una piccola briciola”, blaterò rivolgendosi agli avventori di quel locale di periferia.
Ma quelli che giocavano a biliardo erano troppo occupati a far punti ed il grande schermo della televisione satellitare trasmetteva un’importante partita di coppa, ed era al centro dell’attenzione del pubblico che affollava il bar, una gara troppo importante perché potessero sentirlo.
Appena aperto l’uscio, una gelida sferzata di vento gli diede uno scossone, un brivido che gli percosse la schiena, fino alle gambe e poi i piedi. Rimase su quella porta per un po’, non sapeva dove andare, su una panchina, in una chiesa, nel suo appartamento vuoto, su una strada deserta oppure in compagnia, con gli occhi al cielo pensierosi, e nel mentre inseguiva uno strano uccello, forse un merlo, e si mise a seguirlo finche questi non si posò su una rara e vecchia cabina telefonica che si addossava al perimetro di un parco, un minuscolo polmone verde nell’assenza di aria pulita di quella città. ma a chi avrebbe potuto telefonare se questo era un segno del destino?
Si incamminò lungo il viale principale, all’interno del parco, e si sedette su una panchina come per riprendere fiato. Guardava la gente che passava: quella coppia di fidanzati tutta abbracciata, i bambini che giocavano, le mamme che chiacchieravano dell’ultimo mobile acquistato per la cucina, e di come fosse pratico e funzionale.
Gli adulti gli passavano accanto senza neanche scorgerlo. Solo i bambini, nella loro purezza, riuscivano a guardare oltre le apparenze e si fermavano ad osservarlo, sporchi delle brioches appena acquistate al bar del chiosco del parco. Solo i loro occhioni grandi penetravano la disperazione di quell’uomo.
All’imbrunire si alzò da quella panchina dove nessuno si era fermato ad ascoltarlo e ad accarezzargli la mano. Si avviò verso il laghetto al centro del parco di quella popolosa città. Rimase a lungo a guardare quell’acqua gelida ma non sentiva più freddo!
Erano i suoi scritti, i suoi pensieri, le sue poesie, che tanto avevano aiutato e cambiato la vita di tante persone, il più delle volte sconosciute.
Li dispose in ordine certosino sul prato umido della sera, uno accanto all’altro, in riga, come i soldati di un esercito pronto alla battaglia, a sferrare l’assalto finale. Le sue poesie, abbracciate al calore della madre terra. Le sue poesie, con i loro visi sorridenti rivolti al cielo. Il suo tesoro. Il suo immenso tesoro che lui regalava alla natura, l’unica che aveva saputo consolarlo, che non lo aveva lasciato solo.
E non sentiva più quel freddo pungente, seduto su quella panchina di ferro, al centro di quel minuscolo parco, il freddo non lo sentiva più ma solo un grande calore…
Quando arrivarono i netturbini, rimasero ammutoliti perché furono colpiti da un grande stupore. Il corpo di un uomo era riverso su quella panchina di ferro, ma non si presentava rigido e pallido anzi, mostrava le guance rosee e sulla sua bocca era stampigliato un grande sorriso. Ma la cosa che turbò questi uomini, furono tutti quei fogli, allineati con dovizia sul prato, che né la brezza fredda della notte né l’umido del primo mattino, avevano minimamente scalfito.
E su di essi, non poesie, scritti, ma solo quelle poche ed uniche parole” Un po’ d’amore, solo un po’ d’amore!”.
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