ROMA. In una piazza di Spagna semideserta, l’umana vicenda della città, sconvolta dalla paura di una strage imminente, prende corpo attraverso l’amorosa sollecitudine di un vescovo vestito di bianco, il papa, in visita all’Immacolata, per l’abituale atto di venerazione alla Madonna. Uno storico appuntamento, che è anche l’occasione, per celebrare la Solennità dell’Immacolata concezione, attraverso la visita alla “Salus Populi Romani”, nella Basilica di Santa Maria Maggiore.
Papa Francesco decide di recarsi allo storico appuntamento in forma privata, per evitare assembramenti.
Si tratta di una visita a sorpresa, sotto la pioggia. Ad attenderlo i Vigili del Fuoco, giunti nella piazza per il rito della tradizionale deposizione della corona di fiori. Sono le sette di mattina, ma la situazione, contrassegnata dall’urgenza e dall’emergenza, restituisce tutta la grandiosità senza tempo di architetture ottocentesche, che oppongono la finzione alla rovina della città, persa nei ragionamenti che sollecitano, come sempre, ad affrontare la preminenza dei problemi economici e ad arginare la paura della morte, che viene adesso esorcizzata a causa del numero delle vittime causate dal Corona virus.
Il pensiero non può che andare al Terzo Segreto di Fatima.
Sullo sfondo della piazza un cielo annebbiato e fosco, come una mamma preoccupata, ricordo di suor Lucia di Fatima che sembra ripararlo dalla violenza della natura, con il suo mantello, e poi la gioia di saperlo al sicuro, finalmente in Vaticano. Ecco il miracolo che accende la festa e invita a superare la paura della schiavitù, personificata dal progresso che rischia di essere boicottato attraverso il rifiuto del cinema, della scienza e della psicanalisi, che è una delle strade – sicuramente la più laica- scelte dai media, e non solo da quelli, per risolvere il problema della frantumazione del reale attraverso il dubbio filosofico, questo dato permanete che irrita sempre di più la gente comune e la spinge a rivoltarsi contro un sistema al collasso, messo in ginocchio dalla pandemia di COVID-19 del 2019-2020.
Il papa argentino si consacra in Europa come un autore sperimentale, mettendo da parte l’indubbia fama di gradissimo pensatore che, in passato, si era espresso su temi difficili, come quello della sorte delle donne nel romanzo sociale e su altre questioni che ormai si limita ad accennare, in maniera sornionamente diplomatica, in un pontificato povero di discorsi trionfali e di omelie monumentali, ma ricco di sperimentalismi che non alterano i contenuti della fede e lo vedono nella città al servizio della chiesa.
Un papa sofferente, dunque – che non può più fare affidamento sul dominio della Parola- eppure con tutta la forza che gli viene da Dio e che non gli è mai in possesso. Forza di reagire all’angoscia e alla fatica del tempo della storia, rispondendo senza remore alla vanità di parole vuote, che egli accoglie nella sua nobile persona (sempre più semplice, più piatta, ma mai scontata) come fratelli e sorelle di una storia che guida al cambiamento e qualche volta sbanda, quando non va addirittura fuori strada.
Un papa geloso della propria vita domestica, degli affetti e degli effetti personali, che sono il luogo nel quale la Parola può conservarsi nella tenerezza, nell’esperienza originaria della vita, per sostenere la forma della maestria del pensiero di Dio e dell’idea del giorno in cui creò tutti i secoli e tutti i millenni, in previsione della fine del mondo, che avverrà quando quest’idea si perderà e il mondo cadrà nell’ ultimo giorno.
Un pastore, forse, suo malgrado, verrebbe da dire, adesso che il cerchio si stringe e si creano delle responsabilità nell’immondezzaio della cattiva politica che tenta di boicottare gli esecutivi dei governi approfittando di questa crisi. Quel che è certo è che lo stile variopinto, e le aspirazioni di abile novelliere lo vedono imparziale in campo politico, ma comunque fermo nella difesa di valori permanenti, sulla scia del suo predecessore, che potrebbe essersi dimesso proprio per evitare che il Vaticano diventasse la patria delle dottrine formalistiche.
Papa Francesco ha fatto di più, se è possibile, perché la rinuncia di Benedetto XVI è stata un grande passo, una svolta nella storia della chiesa.
Bergoglio, con la benevolenza di un padre, che è carità, si è rivolto a Trump, in persona, per contrastare il lusso di un’arte fine a se stessa ed invitarlo a ragionare seriamente sull’ingiustizia e le diseguaglianze, come aveva tentato di fare il suo predecessore alla Casa Bianca, Barack Obama. Una benevolenza che gli costa cara – che gli costa veramente tanto- dal momento che la Russia rischiava di sprofondare nel vecchio dispotismo zarista, di fatto facendo da contraltare al colosso americano, mentre il socialismo dimenticava se stesso e si creava il pericolo di un governo centrale, per sua natura antieuropeo e antioccidentale. Una benevolenza che la dice lunga sul rapporto tra i due papi impegnati per il disgelo tra Stati Uniti e Cuba.
Tra la rivoluzione e la restaurazione, un papa per due epoche – questo si potrebbe dire a proposito di Francesco- che sarà ricordato come un soldato di Maria, che si prepara ogni giorno a combattere una guerra, che è già stata vinta da Cristo, suggerendo nuove strade nel segno della croce, a patto che questa porti la luce attraverso chi la porta o chi la venera perché condivide i dolori fisici e morali del prossimo e trova la redenzione in questa reliquia che ci ricorda quanto sia preziosa ogni vita agli occhi di Dio.
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