Cammina spedito sul marciapiede sistemandosi la cravatta con una mano mentre nell’altra stringe una valigetta di pelle nera. Si scontra con un altro uomo, ma non si fermano a scusarsi, sono impegnati a rincorrere il tempo, a cercare di arrivare prima. Si chiede se anche quell’uomo tra un paio di ore dovrà tenere una riunione nella sua azienda, se anche lui si sta dirigendo lì in anticipo per potersi rinchiudere e preparare al meglio il proprio discorso.
Sistema ancora una volta il nodo della cravatta, sente caldo e maledice mentalmente la sua auto per averlo lasciato a piedi proprio quel giorno.
Anni prima era solito percorrere quella strada tutti i giorni, ma ora era stanco, arrabbiato e quel bar in cui si fermava a fare colazione ora, mentre osserva la gente ridere seduta ai tavolini, gli procura un senso di fastidio. Si ferma, in attesa che il semaforo diventi rosso e lo lasci attraversare in sicurezza. Si ferma e osserva la sua città estraniandosi, come se fosse spettatore persino di se stesso. Vede il contrasto tra le persone sedute al bar e quelle che corrono verso nemmeno lui sa cosa. Il verde è scattato, rischia di essere calpestato, ma lui rimane fermo in quella posizione.
C’è qualcosa di pericoloso negli esseri umani, si ritrova a pensare: l’incessante bisogno di catalogare tutto, di decidere cosa è normale e cosa non lo è, facendo di quel pensiero una verità. In quel preciso istante, mentre giudica il modo di vivere delle persone che lo circondano, sta provando sulla sua pelle quell’esatto pericolo e non può non chiedersi: ma quella verità che pensa di sapere, sarà la stessa per tutti?
Si guarda attorno ma questa volta cerca qualcuno che stia guardando lui, che stia giudicando lui.
In che modo appare alle altre persone? Abbassa la testa spaventato improvvisamente dai suoi stessi pensieri, poi fa tre passi indietro. Il semaforo è verde. Si scontra con altre persone e questa volta si scusa anche se non riceve risposta in cambio, poi si volta verso destra, abbandonando l’idea di raggiungere l’ufficio. Sente il bisogno di correre, di allontanarsi da quel caos. Costeggia gli edifici, scansa le persone, accelera il passo. Sa dove sta andando, i suoi piedi lo sanno e quando vede gli alberi in lontananza il suo viso si concede di rilassare i muscoli. Sente le risate dei bambini e più si avvicina e più coglie suoni, rumori. Il fruscio delle foglie, il chiacchiericcio di madri e padri seduti sulle panchine di marmo.
Sente il rumore delle rotelle di uno Skateboard e vorrebbe salirci su, non l’ha mai fatto. Vorrebbe provare a rincorrere il tempo su quell’affare di legno, i ragazzi sembrano divertirsi facendo acrobazie sulla piccola stradina di mattoncini che si interseca nel parco.
La percorre fino a raggiungere il campetto dove ha imparato a dare i primi calci a un pallone con suo nonno. Non è cambiato molto. Certo, le porte sono nuove, l’erbetta è sintetica e non è più un accozzaglia di zolle di terra mal calpestate, ma quel che sente identica è l’aria che si respira. Calcia una palla immaginaria mentre osserva un gruppo di ragazzi e ragazze giocare con energia e allegria. Ben presto si rende conto di aver rovinato la punta delle sue scarpe nuove e si dà dello stupido per aver solo pensato di poter fare ancora il ragazzino.
Stringe il manico della valigetta e un sorriso amaro si dipinge sul suo volto. Guarda l’orologio, sa di dover andare via, ma sente ancora ridere e senza fermarsi a pensare più del dovuto si avvicina ancora di più al campetto. Lascia scivolare la valigetta accanto a zaini di diversi colori, si toglie la giacca, piegandola con cura e arrotola le maniche della sua camicia bianca sui gomiti. Suderà e se ne pentirà, ne è consapevole, ma chiede comunque di poter giocare. Quando riceve una risposta positiva è felicemente sorpreso.
Guarda le sue scarpe, sa che non sono adatte così le toglie mentre zittisce la parte di sé che continua ad avvertirlo delle vesciche che si procurerà. Lascia le scarpe lì, accanto al piccolo muretto che circonda il campo, affinché ai passanti raccontino di un uomo che ha lavorato duramente, di un uomo che ha camminato tanto, ma anche di un uomo che aveva bisogno di fermarsi per ricominciare a vivere.