I pensieri erano nati insieme, uguali identici, ma da due menti diverse, lontane, nello spazio e nella vita.
Poi erano volati via. Si erano alzati in volo piano e per qualche tempo si riuscivano ancora a leggere, alzando un po’ lo sguardo, stringendo forte gli occhi, concentrandosi un pochino. Ma poi, man mano che andavano più in alto, la frase iniziò a scomporsi, le parole s’invertirono, alcune si nascosero dietro le nubi; e poi anche le lettere iniziarono a staccarsi e a prendere direzioni diverse.
Le due menti si stancarono di cercare un senso a quel pensiero e poco alla volta se ne dimenticarono completamente.
Passarono giorni, mesi, anni. Le lettere fecero dei viaggi lunghissimi, s’incrociarono, formarono nuove parole o addirittura nuove frasi; anche in lingue sconosciute, anche in forme inusuali.
Poi un giorno successe: tutte le lettere si ritrovarono, i due pensieri si ricomposero e si sovrapposero l’un l’altro. Forse il peso, forse la magia, fatto sta che il pensiero precipitò dritto come un fuso e con una tale forza e velocità che si stampò in un libro.
Un libro scritto da una delle due menti.
Che mentre lo scriveva non si era ricordata che quel pensiero veniva dal passato, anzi le era sembrato talmente ovvio che era sicura fosse uscito dalla mente del suo protagonista. Non certo da lei.
Poi l’altra mente lesse il libro; e riconobbe il pensiero. Si ricordò perfettamente di averlo formulato tanti anni prima. Ricordò anche di quanto avesse cercato di ricostruirlo, nel corso degli anni, con quelle precise parole. E ora se lo ritrovava davanti stampato nero su bianco, uguale identico al suo. Ne fu talmente sorpresa e felice che pensò di scrivere una lettera a chi aveva scritto il libro, per ringraziare di averle fatto ritrovare quel pensiero, che lei aveva avuto tanti anni prima.
E quando la mente che l’aveva scritto lesse la lettera, solo in quel momento, ricordò. Ricordò che quel pensiero era suo da tanto tempo ma che per tanto tempo lo aveva dimenticato. Ricordò il preciso istante in cui aveva rinunciato a ricostruirlo e lo aveva lasciato andare, scomposto, nel cielo.
Entrambe le menti, nella corrispondenza successiva, si dissero che quel pensiero era stato un filo; un filo del quale entrambe avevano tenuto in mano le estremità, tanto tempo prima. Ma poi era scivolato loro dalle dita, ed era volato su, come i palloncini dei bambini alle feste. Lo avevano guardato salire con malinconico dolore e poi non ci avevano pensato più.
Ora che era stampato su un libro non c’era più pericolo. Quel libro sarebbe stato il doppio nodo che, i genitori premurosi, fanno con lo spago al polso dei bimbi, per non far volare via i loro palloncini. Mai.