Il colpo di fulmine rapì le nostre giovani anime.
Una sera d’agosto un gruppo di ragazzi e ragazze del campeggio Luna Blu di Riccione con cui uscivo, decise di partecipare ad una festa in spiaggia libera, organizzata da persone conosciute ai baracconi di Misano Adriatico. Giunti sul posto, notammo che c’erano casse di birra sparse sulla sabbia. Nessuno aveva pensato di portare una stuoia di paglia o sedia, per non sporcarci, ci sedemmo sugli sdrai in coppia nello stabilimento balneare di fianco.
Io e Alessio ci appartammo da soli, aprimmo le lattine e lui riempì il bicchiere di plastica.
“Non mi piace la schiuma!” Gridai soffiando all’interno convinta che diminuisse. Alessio si spazientì e decise che avremmo sorseggiato due volte a turno.
“Ho bisogno di stendermi sul lettino.”
“Anch’io.”
Ci baciammo sulla bocca, le mani sfioravano il corpo che tremava dall’emozione. Mi sembrava di essere in un altro pianeta.
Sospirai!
“Tutto ok?”
“Mi scappa la pipì.”
“Vai a cercare un bagno.”
Mi alzai, feci alcuni passi e mi aggrappai all’ombrellone barcollando, all’improvviso sentii che qualcuno mi sollevò da terra.
“Dov’è la toilette?”
“Fuori dalla porta a sinistra.”
Entrammo insieme, lui mi tirò giù le mutande e mi mise sul water, le forze erano inesistenti, mi girava la testa come una trottola.
Una volta usciti, mi accompagnò in roulotte in silenzio.
Aprii gli occhi lentamente, la testa mi scoppiava, decisi di fare colazione e dormire alcune ore. Rimasi in pigiama fino a pranzo, poi indossai il bikini, maglietta e pantaloncini di jeans. Gustai una insalatona con mia madre, che scuoteva il capo in segno di disapprovazione, per la brutta figura che avevo fatto la sera prima. Lavai i piatti senza fiatare, non avevo voglia di discutere. Presi l’asciugamano e mi recai in riva al mare a riposare. Sentivo le farfalle nello stomaco, Luca era veramente dolce, con il fisico palestrato, capelli neri. Era complicato frequentarlo di nascosto, ma non potevo dirgli di no, lo desideravo tanto.
Dopo il tramonto aspettai le mie nuove amiche sul muretto e con loro ci incamminammo verso il Bobo, una discoteca all’aperto distante 500 metri da lì. Nell’attesa di vederlo, mi buttai in pista a ballare con Alessia, perché la musica mi trascinava in un vortice travolgente. Incrociai lo sguardo di Luca, mentre saliva le scale della parte di discoteca al chiuso. Con un sorriso raggiante, gli corsi incontro, assieme ci imboscammo su un dondolo, abbassammo il tettuccio. Le vibrazioni erano in ogni cellula della mia pelle abbronzata, le note delle canzoni penetravano nella mente come colonna sonora di attimi intensi.
C’era tanta gente, ma non mi interessava. Cercavamo, per quanto possibile, di stare composti. Io desideravo stare in contatto con la sua pelle nuda e scura, la passione, era nell’etere più profondo.
Ci recammo sotto la tenda in riva al mare, il rumore delle onde cullava i nostri pensieri e i movimenti mentre ci toglievamo gli indumenti per fare l’amore.
L’orario di ritrovo per il rientro, era sempre alle 2.00 di notte, non si poteva tardare oltre le 2.30, Era sempre una corsa contro il tempo, l’orologio non aveva la sveglia: impossibile arrivare all’ora giusta! Mia madre Lina il dì seguente iniziò a guardarmi in modo sospettoso, chissà perché! Io tentavo di essere fredda, ma non sempre riuscivo a controllare quello che provavo. Avevo un appuntamento per uscire da sola con Luca alle 21.30, non volevo fargli un bidone. Dopo cena, lo aspettai su una panchina posta sul marciapiede dello stabilimento balneare numero 3 di Riccione.
Lui era in ritardo, io sentivo un nodo in gola, volevo che rimanesse un segreto la nostra frequentazione. Ad un tratto vidi mia madre davanti al cancello che parlava con una signora, mentre Luca arrivò all’improvviso e mi prese la mano. Mi osservò stupito, ero truccata: rossetto rosa scuro, il mascara nero e l’ombretto azzurro. In fretta salimmo sulla sua 2 CV Charleston, detta anche due cavalli, per raggiungere Viale Ceccarini. Prima di accendere il motore, mi sfiorò le mie labbra con l’indice. Allacciammo le cinture di sicurezza mentre nello stereo suonava l’ultimo album intitolato “C’è chi dice no” di Vasco Rossi. Durante il tragitto, cantammo a squarcia gola “Ridere di te,” la nostra canzone. Trovammo parcheggio nel piazzale del porto di Riccione. Rimanemmo sugli scogli ad ascoltare il rumore del mare abbracciati.
“Finiti gli studi avresti intenzione di trasferirti da me?”
“Mi piacerebbe tanto, ma ci saranno molti ostacoli da superare, i miei genitori si opporranno con tutte le forze.”
“Faremo il possibile, te lo prometto.”
Mangiammo una fetta di anguria in una baracchina a ridosso della strada principale.
In auto lui espresse la sua idea riguardo al nostro futuro insieme.
Alle 23.30 tirai su la cerniera, una voce mi disse: “Tu domani sera per una settimana non andrai da nessuna parte!”
“Non capisco.”
“Ti ho visto andare via con Luca e tuo padre non vuole.”
Rimasi sveglia tutta la notte a pensare al metodo di fuga per incontrarlo di nascosto. Al mattino avevo gli occhi gonfi, le gambe non stavano dritte, dormii tutto il giorno, mi alzai solo per mangiare e bere. Prima che Lella ritornasse nel camping, feci una doccia rigenerante, poi preparai prosciutto e melone. L’aria era irrespirabile, il mio fiato era corto, deglutivo il cibo a piccoli bocconi per non affogare, con lo guardo basso. Il leitmotiv della mia famiglia era stare zitto a tavola se no urlo.
Terminato di dare una mano con le stoviglie, corsi a vestirmi per uscire. Non sapevo cosa indossare, era quasi tutto da mettere in lavatrice.
“Ciao!”
“Cosa ti avevo detto ieri notte?”
“Devo lavarmi i denti, è importante!”
“Non tardare! Capito?”
Le diedi uno spintone e a passi svelti raggiunsi l’area dove c’erano i lavandini. Una volta terminato, buttai tutto nel cestino e m’incamminai verso la discoteca, nonostante non era ancora aperta. Il cielo stava cambiando colore, finalmente in solitudine ad osservare il tramonto.
“Che ci fai qui?”
Mi voltai abbozzando un sorriso, lui mi attirò a sé.
“Ci parlerò io con i tuoi genitori.”
“Lascia perdere, è peggio!”
“Amore mio, ho già raccontato di te ai miei famigliari, io vorrei fare le cose alla luce del sole.”
“Vieni con me, dobbiamo trovare il modo di frequentarci. Che cosa ne dici?”
Il rumore delle onde, faceva da sottofondo ai nostri respiri che scandivano le nostre voci e le vibrazioni che trasparivano in noi.
Varcai la porta della veranda e prima che fiatassi, ricevetti una sberla da mia madre.
“Vai a letto!”
Mi coricai sul materasso vestita, mi assopii immediatamente. Le luci dell’alba penetrarono dall’oblò, la pelle della mia guancia sinistra era calda. Dopo aver bevuto il caffè e sgranocchiato qualche biscotto mi misi il ghiaccio per diminuire il rossore. Lella prese il telo e volò sul bagnasciuga con mia sorella senza dirmi nulla. Io invece, presi un foglio e scrissi i miei pensieri più profondi, all’interno di un cuore trafitto da una freccia nera. Dovevo lottare per il nostro amore, non era possibile lasciare perdere, ero maggiorenne, suo nonno possedeva un’attività e nessuno aveva il diritto per costringermi a decidere contro il mio volere. Alle 12 una mano afferrò il mio braccio, il suo sguardo di disprezzo, penetrò il mio. Capii che ero in punizione! Diedi un pugno sulla sedia di fianco con lo sguardo perso nel vuoto.
Tra me e mia mamma si eresse un muro, comunicavamo a piccoli gesti solo se necessari. Il castigo durò un giorno. La mattina successiva ero già in spiaggia ad abbronzarmi sotto l’ombrellone, nuotare nell’acqua fresca e bassa. Riposavo le membra stanche con la mia anima in pena.
Scelsi di rivederlo nei suoi ritagli di tempo per conoscerlo meglio e fare l’amore al solito posto al chiaro di luna. A sorpresa mi presentò i suoi parenti. Io ero felice di vivere bei momenti in allegria, senza preoccuparmi del domani. Noi ci amavamo e questo era l’importante.