L’Io innato dell’uomo

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L’Io innato dell’uomo


Formiche che marciano,

Formiche che possono divenire,
Un faro.
Mai queste guardano al cielo,
Mai tirano su il capo, per pregare.
Qualcuna apre le mani per consolare,
Qualcuna le apre per tirare uno schiaffo.
Le uniche cose che ci sono rimaste,
Le uniche cose
Sono forse le ossa
Sono forse un paio di emozioni,
Ancora.

Commento: L’Io innato dell’uomo

Poesia simbolista scritta nel Dicembre 2020, da me, Valerio D’Erme, nato a Frosinone, il 01/01/1999. Questa poesia racconta il mondo, racconta la mia visione sociale ed umana. Codesta poesia vuole far percepire alcune delle molte emozioni provate ogni giorno da ognuno di noi, indipendentemente dal sesso, dall’etnia, dai propri gusti. Le “formiche che marciano”, siamo proprio noi, gli esseri umani; esse se si uniscono, se sono solidali l’un con l’altra possono “divenire un faro”; però “mai queste guardano al cielo”, a causa dei vari impegni quotidiani, che possono concernere il lavoro, lo studio e molto altro ancora.

Il “guardare al cielo” in questo caso viene inglobato in un aspetto di credenza in qualcosa, in qualcuno; alcuni di noi stentano a credere in qualcosa, in qualcuno, alle parole, ai propri pensieri; l’umanità, specie ultimamente, si concentra molto sul materiale senza pensare alla propria sfera cardio-centrica, infatti queste formiche citate nella poesia “mai tirano su il capo per pregare”. Il gesto messo in atto in questo verso non è in alcun modo un gesto di tipo cristiano o di qualunque altra religione, ma è un gesto di auto-ispezione psicologica, un gesto di solidarietà, un gesto buono, che descrive un qualcosa che si fa nonostante non si creda (“nonostante io non creda in niente eppure prego per me e per gli altri, però lo faccio a modo mio”).

Nel passato si credeva che fosse necessario confidare i propri peccati ad un prete, che poi, secondo alcuni, è stato sostituito dallo psicologo.

Io credo fortemente nel pensiero di Anne Hutchinson che ci diceva che il genere umano può apertamente parlare con Dio, senza l’aiuto di una persona che ci faccia da “tramite”, o senza nessuno che possa darci dei consigli su cosa è giusto o sbagliato fare (per questo citavo anche la professione psicologica, non coerente però al contesto). Qualcuna di queste “formiche” apre le mani per consolare; questo sottolinea che la società, pur essendo unita e pur sbagliando talvolta, è colma ed è composta dai suoi pregi, da delle persone che sono disposte a dare tutto pur di far star bene gli altri, nel periodo del Covid-19, queste persone potrebbero essere i medici e gli infermieri per esempio.

Altre persone, e dunque “formiche”, però, usano le loro mani non in soccorso di qualcuno, ma le usano per la violenza, per insultare, per abbandonare, “per tirare uno schiaffo”. Questo della violenza, fisica, verbale, morale, psicologica è un tema su cui si potrebbero scrivere pagine e pagine, e, su cui bisogna ancora tanto discutere e parlare, per via di quel che ancora accade. Le uniche cose dunque, “che ci sono rimaste”, e dunque, le uniche cose di cui siamo davvero certi sono le ossa, è il nostro corpo, siamo noi, nella nostra fisicità, e soltanto alcuni di noi presentano “ancora” un “paio di emozioni”.

Poche persone sono e rispecchiano davvero, quindi, ciò che vogliono far credere di essere e dunque, per concludere, la fine di questa poesia ci dice che di cuore e di emozioni ne abbiamo tutti; di cuore ne abbiamo tanto, rotto, insabbiato, rovinato, oscurato, ma ne abbiam da vendere; di emozioni ne proviamo tante ma spesso queste ultime non sono soventemente sincere, ma solo poche persone riescono a togliere la maschera pirandelliana che le riveste notte e dì, solo poche persone riescono ad aprire il sipario e dunque la quarta parete; in pochi riescono a leggere le carte della Maga Circe.


L’Io innato dell’uomo