Permettetemi di fare un Brindisi stasera

Permettetemi di fare un brindisi questa sera.

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Permettetemi di fare un brindisi questa sera. Brindisi!

Trattenete un attimo le vostre bocche assetate, giusto il tempo di dire due parole. Il tempo di dedicare al povero Franco, “il festeggiato” per gli amici intimi, un tintinnio degno del suo nome. Proprio l’altro giorno, infatti, festeggiavamo il suo compleanno da me. O meglio da mia madre come ci tiene a precisare lei.

L’età non si dice per fatti di privacy e di educazione, ma vi basti sapere che si tratta di un onesto signore che si trova sulla soglia dei 50.

Dicevo. Ci trovavamo a “casa mia” come dice mia madre, per un party di quelli semplici.

Silvia, così si fa chiamare la padrona di casa, aveva messo a disposizione l’intero appartamento per festeggiare il dannato compleanno del povero Franco, purché fosse lei ad occuparsene.

Si era presa quindi l’impegno di organizzare l’intera serata, accorpandosi quindi tutte le responsabilità che ne conseguono per la riuscita dell’intera festa. Non che ci tenesse particolarmente al povero Franco, il suo era più un atto diplomatico che altro.

É da quando ci siamo trasferiti qui infatti, dalla provincia alla periferia, due anni fa, che aspettava un’occasione simile per rifarsi sulle male voci che giravano su di lei e che gli erano arrivate all’orecchio al momento del trasloco. Tra chi diceva che era un errore, che solo con quattro figli era una follia e altro che non posso dire adesso, non mi sembra il caso, ed in ogni caso erano tutte fesserie.

Dico questo per far capire quanto il compleanno contasse più per lei che per il festeggiato ma ora arrivo al punto tranquilli.

I preparativi sono cominciati due settimane prima della cena ed in casa già si respirava aria di cambiamento.

La festa è caduta nel periodo natalizio e, per mia fortuna, c’è sempre molto lavoro per un cameriere, e c’erano giorni in cui mi capitava di stare fuori anche tutto il giorno, tornando solo a notte inoltrata. Quando sono rientrato il primo giorno ho creduto di aver mancato piano, appartamento o palazzo, ma le chiavi però non mentono mai. Non potevo essere nel posto sbagliato, anche se sembrava, come ho detto la casa di qualcun altro, tanto da chiedermi  quanto tempo fossi stato via. Mesi, anni? Quel giorno ho capito per la prima volta l’entità dell’evento. Stupito mi sono messo a guardare tutti i nuovi mobili, da quelli già montati, tutti puliti e ordinati e a sbirciare quelli ancora chiusi nelle scatole. A parte che c’erano cartoni ovunque!

Mi sono chiesto quanti soldi avesse speso, ma alla fine non è un problema mio. Come nemmeno quello di montarli. A sporcarsi le mani è stato Max.

Per chi non lo conoscesse Massimo è il suo compagno. Un uomo dalla parlantina facile che a primo occhio sembra ariano, biondo con gli occhi azzurri, ma molto più simpatico. Diciamo un bel quarantenne che parla spesso e volentieri, se può di se stesso. D’altronde la signora in questione è un bella brasiliana con la fila. Modestamente.

Scherzo.

Non sapete che tortura avere un bella donna come genitore. Con tutte le battute che ho sentito in questi anni, originali o meno, potrei scriverci un libro senza preoccuparmi delle pagine.

Non lo farò mai, inutile dirlo. Piuttosto ne scrivo uno sul povero Franco. Così povero e incompreso. Non sto dicendo di averlo fatto io, compreso intendo, ma per certi versi posso dire che siamo molto simili. Sotto un certo aspetto ecco.

No non di aspetto.

Dai evitiamo battute banali vi prego. Già ci sto mettendo una vita.

Mi spiego meglio.

Franco è un signore tarchiato con i capelli grigi dal viso da bonaccione. Il classico bolognese figlio di bolognesi da generazioni, una raritá da queste parti.

Voi che non lo avete conosciuto, non ve ne ricordereste comunque. È un tipo invisibile. Di quelli che parlano solo se interpellati.

Capite, non proprio un tipo da festa. Proprio come non lo sono io, che oggi parlo per quando non ho parlato, ispirato da un vino a dir poco sublime. E anche quasi finito.

Spesso, quando provo a dire qualcosa sbaglio il tempo, e non solo quello verbale, e non trovo mai le parole giuste per spiegare quello che veramente voglio dire, inoltre mi ripeto fin troppo spesso, mi innervosisco e finisce che mi incepsico. Incespico.

Ma questo vino signori aiuta.

Anche quella sera avevo bevuto ma per la disperazione, è diverso, e me ne sono stato tutto il tempo zitto in disparte.

E qui mi ricollego al perché assomigli tanto a Franco, prendendo la difesa dei timidi!

Perché ridi?

Lo so che sto arrossendo mentre ne parlo e fortunatamente non puoi sentire il calore che mi ha assalito nel liberarmi di questo peso!

Noi timidi siamo cosí. Uomini silenziosi a cui piace ascoltare, cosa che sanno fare in pochi, dato che sono tutti impegnati a parlare.

É matematica, credo. Uno parla, l’altro ascolta.

A volte poi vorrei non sentire quello che le mie orecchie sono costrette a subire, ma questo è un’altro discorso. Per questo preferisco pensare bene a ciò che dico prima, per evitare di dire stronzate dopo, che tanto poi finisco per dire lo stesso come sto facendo adesso.

Va beh dai, torniamo al brindisi.

Solo un’ultima cosa, un avvertimento, più che un consiglio.

Non scambiate un ragazzo timido per uno senza attributi a cui manca carattere. È un errore che commettono in tanti. Alcuni non riescono a reagire, è vero, e finiscono per farsi sottomettere, altri invece meglio non provare a mettergli i piedi in testa. La rabbia repressa che tengono dentro aspetta solo un pretesto per venire fuori.

Sto divagando lo so. Però il brindisi va anche a loro. A tutti i timidi, introversi, insicuri, paranoici, freddi, di cui non vi ricordate. Anche perché è proprio grazie alla mia natura mite che sono qua raccontare un compleanno come tanti altri. Per la mia posizione di narratore invisibile, relegato in fondo al tavolo ma non abbastanza importante per sedere a capotavola.

A capotavola, da un lato, quello vicino alla cucina e all’ingresso c’era come da tradizione la padrona di casa. Mamma.

Portava ancora il grembiule nero con cui aveva cucinato tutto il giorno. Non so come faccia a non sporcarlo mai, anche dopo un’intera giornata passata cucinare, e devo ammettere che in certe cose fa paura!

Solo prima della cena, mentre gli ospiti erano impegnati con l’aperitivo si era permessa una doccia veloce, e cambiata di abito. Un corto completo bianco che nascondeva sotto il grembiule ancora immacolato.

Evitate battute prego.

A fianco a lei alla destra, il suo uomo.

Si era già vantato delle sue opere di ingegneria svedese. Non aveva resistito.

L’attaccapanni era il suo cavallo di battaglia. Un pezzo di legno, bambù o qualcosa del genere, e uno specchio. Quattro viti e quattro bulloni in tutto. Più i chiodi al muro.

– Un’opera d’arte moderna – Ripeteva quando entrava qualcuno.

Di fronte a lui Gege. Il motivo per cui c’era quel nuovo attaccapanni.

Non scherzo.

L’ultima volta che era stata ospite in casa “nostra”, le era stato poggiato il giubbotto nuovo sul letto, con il rischio però che questo si stropicciasse.

Quando prima di andare via si è accorta della gravità della cosa, è schizzata completamente!

– Come Silvia! Abiti qui da una vita e ancora non hai montato un attaccapanni?! Se non per te fallo almeno per gli ospiti! –

Capito che soggetto? Magari la conoscete anche.

È una tipa sulla quarantina piú o meno, sempre tirata, truccata e tacchi.

Nella setta di cui fa parte mia madre, lei gode sicuramente di più rispetto. Non so per quale motivo, a me non sta simpaticissima, come Max d’altronde, non lo nascondo a voi come non l’ho fatto con loro, ma se voglio fare il narratore serio, cercherò di restare imparziale anche se mi riesce difficile, soprattutto con questo vino.

Ah proposito, vediamo di stringere i tempi.

Capisco, chi sta bevendo del bianco, non vorrei si scaldasse e gli toccasse bere qualche brodaglia. Dov’ero arrivato? Ah Gege!

Avete presente allora di chi parlo?

Lei è quella dimagrita di botto, che ha lasciato il marito da un giorno all’altro e ora fa la donna indipendente. Alta, non malaccio. Le rughe smentiscono le gambe per quanto riguarda l’età.

Quella sera si era presentata in minigonna e quasi tutte lo erano.

Non farti viaggi strani tu, erano tutte sui quaranta, truccatissime come lei, profumatissime, ma alla fine niente di che. Come esige il regolarmente delle “Belle dentro e fuori. Sempre!”, una negazione parola per parola.

Era così per dire, una delle frasi che mi sono rimaste impresse di quella sera. Che ridere.

Solo un branco di pettegole. Che poi è quello che sto facendo io ora, pettegolezzi. Va beh è diverso. È sempre diverso.

Comunque. Dicevo.

Quando è arrivata quella sera portava oltre ai tacchi e la gonna corta, d’obbligo, un giubbotto tutto chic che non vi dico.

Lo so bene perché ero io ad accogliere gli ospiti alla porta, rispondere al citofono, sistemare i cappotti, e a fare accomodare i nuovi arrivati.

Ricordo bene quando ho aperto la porta a lei e a una delle figlie, sua copia sputata, solo che alla ragazzina almeno quei vestiti stanno bene. Subito è apparso il crucco.

– Hai visto che opera d’arte moderna? – Si è messo a dire

-Ti piace il nuovo attaccapanni? – Ha precisato subito lui in risposta alla smorfia interrogativa che le si era stampata in viso. Dopo averlo osservato per qualche secondo lei ha risposto. – É storto. –

Ah un classico!

Avete capito di chi parlo allora? Secondo me qualcuno di voi la conosce, poi appena la vedete direte “Ho capito chi intendeva!”.

Se non avete conosciuto lei è difficile che conosciate gli altri.

C’era mio fratello, lui lo conoscete per forza è qua. Se c’è da bere lui non manca mai.

Lucas era seduto a fianco a me a capotavola quella sera, potete chiedere a lui se mi sto inventando qualcosa o dicendo qualche bugia. Se non sa di cosa sto parlando è perché era troppo impegnato con quella ragazzina, come è che si chiamava pure? Marilyn? Melly, scusa.

Eh Lucas Lucas. Dovevate esserci, appena ha sentito “18 anni appena compiuti” non ha capito più nulla. O sbaglio Lu? Che poi è la figlia di quella di Gege. L’ho avuta di fronte per tutta sera, uguale alla madre. Sempre attaccata al cellulare.

Dell’alta società, diciamo, c’era un magistrato, amico di Max. Un tizio con i baffi, che sembrava avere la giustizia in tasca. Anche lui non taceva mai, a volte partiva con alcuni duetti con l’amico d’infanzia, e ogni volta che faceva una battuta batteva la mano almeno tre volte sul tavolo. E tutti giú a ridere. Non so se sia stato lui a parlare di piú, durante il corso della cena, peró posso assicurarvi che la sua voce è quella che si è sentita maggiormente.

Sicuro.

Ha quella voce grossa che appena parla si gira metá sala. Quando ride poi.

Cavolo mi sfugge il nome adesso.

Ricordo quello della moglie però. Claudia. Bella donna lei.

Lei lo era davvero, una gran bella mamma!

Avevano un figlio, Mirko o Marco. Magari ci avesse provato lei con me, e non quell’altro sgorbio della sua amica.

Non ve l’ho raccontato?

Stavo in cucina a preparare altri stuzzichini, quando sbuca sta Marzia, la migliore amica del momento di mia madre.

Aveva bevuto parecchio credo, si era messa a ronzarmi intorno e non la smetteva più di fare domande, e di voler prendere la saliera, l’olio o che ne so io che si trovavano davanti a me. Allora ne approfittava per strusciarsi, e mettermi le sue enormi tette sotto il naso. Tanto che dopo un pò il marito è venuto a portarla in soggiorno preoccupato. Giuro!

No dai aspettate a bere.

Guardate che vi ho visto a voi due!

Riempite meglio i calici piuttosto.

Sto arrivando alla fine, volevo prima presentarvi chi c’era. Capitemi dopo tutto quello ho bevuto stasera. Poi dimenticate che è il mio compleanno e mi sono concesse 24 ore in cui posso fare quello che voglio.

Regole di una tradizione millenaria!

Anche fare un brindisi un pò troppo lungo se mi va. Perciò lasciatemi concludere, poi non vi rompo piú.

Comunque, dopo una lotta accanita e imbarazzata per i posti, per la sedia più comoda, e per scegliere a chi stare vicino, si sono finalmente seduti tutti.

Adulti da un lato e ragazzini dall’altro.

Questa disposizione era giá stata decisa dalla caposala.

Dovevate vedere la tavola, apparecchiata alla perfezione, manco dovesse venire la regina e tutto il suo capezzale. Due forchette, un cucchiaio, un coltello, due bicchieri ciascuno, uno per l’acqua, l’altro per la birra, tre se contiamo il calice per il vino, anzi quattro con i flut. Aveva pensato anche alle rose e la musica doveva essere solo ed esclusivamente brasiliana.

Non c’entra niente lo so. Scusate ma mi perdo.

So che i calici iniziano a pesare, ma vi chiedo di resistere ancora un minuto.

Facciamo due.

Perché proprio ora mia madre serviva i primi a tavola, ed è in questo momento che ho preso la mia posizione di osservatore, ascoltatore ospite in casa sua.

Qui prendo i panni di terza persona esterna ma non del tutto estranea ai fatti, per poterla raccontare a voi nei panni di testimone barra narratore.

Mi sono sentito un fotografo invitato ad un matrimonio dove non conosce nessuno.

Solo che il fotografo ha più potere.

Ho registrato in mente la scena del brodo che cerca un modo di scappare dai piatti fondi, nuovi, mettendo in pericolo le pelli di stoffa e seta delle signore. Evitato questo pericolo i tortellini fatti da una brasiliana di vecchia scuola bolognese chiusi a mano il giorno prima e cucinati in un brodo di carne lessa cotta con pazienza a fiamma lenta tutto il pomeriggio hanno vinto su tutti.

Un secondo che prendo fiato.

Un piatto per veri intenditori conservatori, anche i clienti piú esigenti sono rimasti soddisfatti. Esterrefatti a dir poco.

Ecco che la poi Chef si alza in cima la tavola per il primo brindisi della serata.

Poi solo il silenzio rotto dallo sbrodolare dei piatti.

Bacco riempiva di nettare d’orato e frizzante alcuni calici, da cui saltavano fuori bollicine che danzavano tra le risate dei commensali, mentre in altri, versava il suo stesso sangue che colava di un rubino denso e che riempiva la sala da pranzo di un aroma dolce e giocoso.

Oltre ad essere maliziosi pure ignoranti siete?

Sapete che non dico sul serio, ho voluto fare il poeta una volta che avevo tutti gli occhi addosso e tutti mi ascoltano attenti, anche se da quanto leggo sulle vostre facce ci sono andato ben distante. Ripeto, il primo era ottimo e tutti si sono ubriacati con allegria. Va meglio?

Preferite che parli come quel tipo lá? Quel magistrato? Un pó cosí con la voce grossolana. Tutta roca. Sembra abbia.. sto zitto che è meglio, perchè poi divento cattivo anche io. Non sopportavo ne anche lui, si capisce?

A dire la veritá non sopporto nessuno. I magistrati e i giudici ancora meno.

Quando parlava si fermava la musica, ed era sempre lui a decidere i temi della serata e incanalare i discorsi praticamente. Metteva i punti e andava a capo. Faceva tutto lui. Si era messo a parlare di un certo studio, qualcosa di ridicolo.

– Non so se lo sapete, hanno fatto uno studio da qualche parte in Inghilterra, California credo. Sí nella cittá di California, o per meglio dire nell’Universitá di California, su alcuni ragazzi, un gruppo di ragazzi, ragazze anche, non conosco le loro, per cosí dire metodologie logistiche, ma è risultato che se un ragazzo o una ragazza, prende una brutta strada la colpa è della compagnia. Inteso come droga e prostituzione ovvio. Questo era risaputo ma ora è la scienza a confermarlo! –

Io ho provato a dire guarda che non è così. Io e Lucas ne siamo gli esempi, ma niente.

Tutti a dire sí con la testa.

Compiaciuti si lavavano le mani dai loro figli.

Mi sorprendo di non essere ancora diventato volgare. Certe cose mi fanno proprio imbestialire. Trattengo le parolacce peggiori che mi vengono in mente solo perché ci sono dei bambini presenti. C’erano anche alla festa, non l’avrei mai detto dal silenzio che facevano, seduti impegnati a giocare con qualcosa sotto il tavolo.

Gli adulti erano un pó meno silenziosi.

Durante gli aperitivi si erano messi a ballare nello spazio vuoto tra la tavola e il divano prima di cenare.

Hanno fatto un macello.

Distrutto un calice, rotto un tavolino di quelli nuovi e il cibo per terra. Ah il cibo per terra! Quanto.

Chi ha dovuto spazzare il vetro e le altre schifezze? No, non mia madre. Il sottoscritto!

Era un piacere che mi aveva chiesto, e che ho fatto abbastanza volentieri diciamo, come quello di mettermi una camicia. E i pantaloni lunghi.

– Non voglio che si parli ancora dei tuoi schifosi peli delle gambe! – Allora sono uscito dalla camera con i pantaloni di tuta e una camicia a quadri.

– Cos’è questa? –

– Una camicia! – Gli ho detto. Alla fine ci ha rinunciato, ma solo per chiedermi, una volta arrivati gli invitati, di non fumare sul balcone con sedie e piante della sala, un pò perchè usciva il caldo ed entra il freddo, e un pò per la puzza di fumo e quindi di andare nel piccolo balcone della cucina.

Quel minuscolo trampolino! Oltre a essere strettissimo, a volte da quel lato del palazzo arriva tutto il vento. Neppure il posto per sedersi c’è. Poi un freddo!

Anzi, in veritá tra l’alcool, i termosifoni al massimo uscivo che eri rovente.

Pure per gambe delle donne, tutte scoperte, lisce, lucide, accavallate, seducenti. Peccato che una volta sedute il tavolo lasciasse scoperto il viso. Ho i brividi a pensarci. Scherzo!

Una di queste è uscita appunto nella pausa tra il primo e il secondo.

Non la conoscevo, doveva essere una di quelle nuove amiche, e non si è nemmeno presentata quando gli ho aperto la porta, anzi era corsa da Gege a baciarla.

Era tutta verde, vestiti e scarpe, con tacchi anche lei ed era venuta fuori apposta per toglierseli.

Le sigarette non le aveva, non fumava.

Con i tacchi sembrava una stangona di strada, senza quasi non arrivava al barra in ferro del balcone. Lo so perché si era tolta quei cosi dai piedi di fronte a me.

– Non ci fare caso. – Mi dice questa.

– Voi uomini non sapete cosa si prova ad indossare una di queste. – Originale la tipa. Poi ha alzato i tacchi per mostrarli.

– Non voglio ne anche saperlo. –

– Ma lo faccio volentieri. La bellezza richiede sacrificio. – Ha ribadito lei.

– Ragionissima. – Ho confermato io con un sorrisetto poco poco forzato.

Non ce la faccio a dialogare con certa gente, piuttosto sto zitto e faccio il timido.

Forse ho solo letto troppe volte “Il giovane Holden” si sente? O forse sono solo stronzo.

Il colmo è stata la faccia di lei, da snob, quando ha guardato il mio pigiama camicia.

Lei che pareva un, un.. cos’è quel coso, quel frutto verde fuori, rosso dentro, e pieni di semi? Ce l’ho sulla punta della lingua.

Questo è il vino. Forse dovrei smetterla per oggi.

No, non il cocomero. La goiaba. Non so ne anche se l‘ho pronunciato correttamente.

È un frutto tipico del Sud America. Pare una pera dalla forma.

Eppure ha avuto il coraggio di dire che Claudia sembrava un canarino vestita di giallo.

– Ha fantasia signora! – Ho detto io ma non deve aver capito che ero sarcastico.

– Ognuno si veste come vuole. – Ho continuato allora io cercando di continuare la conversazione e allo stesso tempo di chiuderla.

Odio trattenere le parole in gola.

Non lo sopporto.

Educazione, diplomazia, cortesia, chiamatela come volete ma non ci riesco proprio.

Riferirle certe cose, dover dire quello che gli altri si vogliono sentir dire. Che rabbia!

Con una cosí cosa devi fare? Che continuava con quella sua voce da oca, (si anche io non mi sforzo molto ad inventare).

– Lo sai che lei è una di quelle che va nelle palestre per sole donne? – Sempre riferito a Claudia. La doveva odiare davvero, perché poi ha continuato. –  Una palestra di quelle femminili frequentate da brutte grasse e zitelle che non vogliono farsi vedere dagli altri. Non sanno che si perdono, non capiscono quanti bei ragazzi vanno nelle palestre per uomini e donne insieme. –

– Unisex? – Ho suggerito io.

– No, quelle normali dico io scemo. – Facendo così con la mano. – Dove puoi farti guardare e guardare gli altri senza problemi. Cosa ci vai andare se no? – Non so se si aspettasse una risposta e se sì quale, dopo un po’, rimessi i tacchi mi ha chiesto.

– Guarda. Ne vale o non ne vale la pena? Sono o non sono soldi ben spesi?- Non so se si riferisse alle scarpe o alla palestra, in ogni caso potevano essere soldi risparmiati e dopo aver fatto un giro su sé stessa ha continuato il questionario.

– Sono non sono la più bella? – Allora disperato ho spento la cicca nel tentativo di fuggire dentro.

– Siete tutte belle! – Gli ho detto diplomatico.

Ero uscito che i resti del primo erano ancora sul tavolo e si parlava della gioventù bruciata di oggi, ed ero rientrato che i secondi erano già pronti e sistemati sulla tavola già stravolta e loro parlavano ancora di quello.

Non è bello per un ragazzo essere presente quando gli adulti parlano di certe cose.

Finiscono che mi fanno sempre innervosire. Attaccano i ragazzi come se fossero la rovina dell’umanità.

Ricordo, a costo di dire cose già dette da altri, che siamo il frutto della società che ci ha cresciuto. Meglio cambiare discorso, e tornare al nostro brindisi, anche perché poi finisce che non smetto più di parlare.

Dico solo che c’era quel magistrato che aveva preso a parlare lanciatissimo. Ah la gioventù bruciata di qua, la gioventù bruciata di là. Sono il declino di questa società. Diceva, lui che di quella alta società ne faceva parte con orgoglio e che ora ci sputava sopra con disgusto.

Tutto questo con i figli ancora piegati a pregare il cellulare sotto il tavolo. Certa gente proprio non la capisco.

Spero capiate voi ora come mai me ne sto sempre zitto. E vi sto dando ora una dimostrazione che so parlare, non bene magari ma so farlo, e se voglio posso andare avanti per ore.

Ah si i calici. Scusate.

Il brindisi è per Franco.

E dove era Franco in tutto questo? Seduto al suo posto, zitto da quando era entrato.

Max aveva provato a renderlo partecipe, chiedendogli come vedeva il nuovo anno avvenire. Lui dopo essersi messo composto aveva preso a dire:

– Considerando che ho 51 anni, che la pensione è ancora lontana e so già che sará poca, per colpa di questi politici che.. –

– Un altro bell’anno di merda! – Lo ha interrotto Max.

– Un altro bell’anno di merda! – Gli ha fatto coro l’amico, coso, che si è messo a ridere e a battere di nuovo le mani sul tavolo.

Franco non l’ho più visto e sentito se non per venire alla porta finestra a chiedere due tiri dalla sigaretta. Mentre andavo fumare, prima che mi raggiungesse in balcone, tra uno sparecchiamento e l’altro, dalle risate è crollata la sedia della Marzia. Crack!  Lei la prima a ridere.

– È ora dal dieta! – Ha sdrammatizzato Max.

In effetti, era un po’ in carne, come si dice per non offendere e non dire grassa.

Prima che mi chiedessero di pulire ho approfittato del casino per andare a fumare e sono uscito. Poco dopo è arrivato Franco.

– Posso fare due tiri? –

– Per il festeggiato questo ed altro. – Faccio io, ma durante quei suoi due tiri ha tossito tanto che quasi pensavo cascasse giù. Quando poi gli ho chiesto come andava ha sbroccato.

– Sai che c’é? Non ce la faccio più. Non sopporto arrivare a fine mese con la cinghia tirata. I soldi che guadagno sono praticamente giá spesi tra moglie, cani, cibo, bollette e quant’altro. Sono stanco di spendere soldi solo per quello di cui ho bisogno, Sará mai questo vivere?!- E tossiva. – Poi voglio dei pantaloni nuovi anche, un frullatore decente che non si surriscaldi per niente, una vita come quelle delle pubblicitá. – Dopo qualche secondo di riflessione ha ripreso. – Una parte di me invece vuole scomparire. Tu sei un ragazzo. Quanti hanni hai? 20? 22! Ecco io ne ho più di cinquanta, tu sei ancora giovane, ma arriverai ad una certa etá, e a questo punto non se augurarlo a qualcuno o meno, in cui avrai delle responsabilità. Dei vincoli. E se non vuoi buttare via tutto quello per cui hai lavorato sarai costretto a rispettarli. E se non stai attento limiteranno la tua felicitá ad un pomeriggio allo stadio. – Un po’ perplesso gli ho chiesto se tutto questo non gli facesse rabbia.

– Non lo sopporto! Mi fa incazzare, troppo! – Ha risposto. Dopo un altro momento di silenzio durato un eternità quando stavo per rientrare dentro ha aggiunto. – Mandare all’aria tutto quanto, dici? – Notare che non avevo detto più nulla io.

– É troppo tardi, e in ogni caso non saprei da dove iniziare. Poi la Juve è anche prima in campionato. – Stava ancora parlando quando sono rientrato e non ho sentito il resto della frase per il casino che c’era in casa.

Musica a palla e gran via vai tra sala e bagno.

Avrei tanto voluto che Gege si lamentasse del bagno degli ospiti che manca. Peccato. Un bagno in più in casa avrebbe fatto comodo.

– Tutti pronti! – Ha gridato mia madre. In cucina tra i piatti sporchi impilati nel lavello e le pentole sui fornelli, stava una teglia piena di avanzi dei secondi. Accanto a quella una torta bianca con scritte in corsivo blu. Ecco stava per arrivare la torta, ma prima.. le foto!

Finalmente le foto!

Alcune signore stavano definendo il trucco sul grande specchio che si trovava all’ingresso mentre altre si scambiavano i turni in bagno. La tensione palpabile aveva sostituito l’armonia che aveva tenuto compagnia alla tavolata durante l’intera cena. Come prima di una gara le atlete si preparavano e riscaldavano provando pose, sistemandosi i capelli, qualcuna rischiava pure un pó di stretching per mettere in mostra i muscoli, poi c’era chi prendeva fiato per poter trattenere il respiro quanto piú possibile e altre scene che vi risparmio. Dalla borsa appesa dietro la sedia, Claudia aveva tirato fuori un pacchetto regalo azzurro con un fiocco celeste e lo ha messo da parte per impugnare la macchina fotografica professionale che il gli aveva regalato il marito, e che avrebbe usato come un’arma.

Click! Il primo sparo.

Flash! La prima esplosione.

Una foto a sorpresa che aveva colto tutte di sorpresa, impreparate e che impaurite si erano nascoste. Lo scatto le aveva colpite alla schiena, ferite nell’orgoglio. Poi qualcuno per sottolineare l’insolenza e la scorrettezza di tale gesto aveva chiesto di essere avvertita la prossima volta.

Era la prima vittima.

Sono partite le prime combinazioni, tutti dovevano fare una foto con tutti.

Ormai voi sarete stanchi di sentirmi parlare, stufi delle mie chiacchiere vuote e vorrete bere finalmente.

Ci siamo quasi, davvero.

Sono proprio nel momento cruciale della serata, quando le vecchie ragazzine si sforzava di dare il meglio.

Gege faceva un sorriso strano, mezzo serio e mezzo riso, e scommetto che cercava di limitare le rughe sul viso, mentre la Marzia, preferiva coprirsi la bocca con la mano. Quella con il vestito verde invece ha fatto le foto seduta tutto il tempo, non so se per nascondere le generose maniglie di Venere o per i tacchi che la stavano martoriando.

Terminati i sorrisi e le battute tutto è tornato alla normalitá e solo dopo qualche minuto di chiacchiere si è proceduti con la torta.

La candela aveva consumato giá un quarto della cera, e il festeggiato era visibilmente spazientito.

Si leggeva proprio che non vedeva l’ora di levarsi da dietro il dolce di panna con tanto di data e dedica personalizzata. Aveva preso fiato e quando era sul punto di soffiare la moglie ha fermato tutto.

E la foto con la torta?

Le armi erano giá riposte dentro le borse, macchine fotografiche scariche, cellulari con memorie piene e dita stanche.

Franco aspettava seduto lí trattenendo il respiro con le guance illuminate dalla timida fiamma consumata, quando un cellulare ha salvato la serata dalla disfatta giunta ormai ad un passo dalla fine. Fatta la foto, spente le candele è stata aperta un’altra boccia di spumante portata da non so chi e con l’ultimo brindisi si è concluso il compleanno.

Un brindisi come quello che sto facendo io ora per celebrare lo stesso festeggiato e i suoi amici, con i miei.

In alto i calici!

É arrivato il tanto atteso momento di suonare con i tintinnii la nostra sete, ma prima un ultimo ringraziamento. Perché un brindisi particolare come segno di ringraziamento è piú che doveroso verso la padrona di casa che si è sbattuta fin troppo, ricoprendo il ruolo di chef, maitre, cameriera, lavapiatti, serva umile e vera e unica vincitrice della serata.

Gliela si leggeva in faccia la soddisfazione e lo si sentiva nel suo “Auguri a Franco!” che si era liberata di un peso enorme.

Eh sí, perché in fondo era filato tutto liscio, a parte qualche problema tecnico, come proprio nel frangente del saluto finale, poco prima di mangiare la torta, quando presa la parola “il festeggiato” si è alzato in piedi per fare un discorso acclamato ridendo dagli invitati.

Dopo avermi guardato con uno sguardo complice, e prima che aprisse bocca è crollato l’attaccapanni che gli ha rubato l’unico momento di gloria.

Qui si conclude con la festa anche il nostro brindisi, perché il vostro narratore, annoiato e stanco, se ne è andato a letto senza salutare non uno degli invitati.

Poco importa, questo è il mio di compleanno, il mio brindisi e la mia storia quindi sono libero di decidere il finale. Ora facciamo questo stramaledetto brindisi!

Il vetro sottile e trasparente del bicchiere aveva toccato quello dello specchio poggiato sul pavimento contro il muro. Seduto su un cuscino, in tuta Dimitri aveva salutato i suoi amici riposti nella libreria, le foto dei fratelli, il poster in intimo di una modella color caramello e l’immagine di quello che era diventato riflessa nel rettangolo che si trovava di fronte.

Solo brindava i suoi ventitre anni.

Permettetemi di fare un Brindisi stasera.