La tua immensità m’ubriaca

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Alcuni giorni fa sulle mie pagine web apparve il nome di un poeta Albanese che mi chiedeva di poter essere presentato sulle pagine di BombaGiù.

A tal proposito, Arijan Kallço, professore di lingua albanese a Korça, sua città natale, m’inviò la sua raccolta poetica scritta in albanese ed italiano, “La tua Immensità m’ubriaca“. Propongo ai fedeli lettori di BombaGiù di valutarla insieme a me. Invece di parlare di lui come poeta, lascio la parola alla recensione onorevole di Pierangelo Filighedda, che nell’introduzione del libro usa parole molto importanti per dipingere il profilo di questo poeta. Leggiamo:

Arijan Kallço

Non esiste la Poesia. Esiste il Poeta, e la poesia non è altro che il linguaggio con il quale egli si esprime. È nero  profondo di una pupilla affissa sull’universo, atta a vedere quell che ad altri non è dato a vedere. È pelle che vibra davanti alla bellezza di un corpo, di un manufatto, di un paesaggio. È udito che coglie, raccoglie e registra, è olfatto che giudica e valuta, è gusto che assegna e assapora la storia dei popoli. È l’insieme dei sensi che vertiginosamente converge verso una sola unica e particolarissima “sensibilità”

Come il rabdomante vede l’acqua nella profondità della terra, cosi il poeta percepisce l’eterno scorrere di ogni cosa nei volti, nei luoghi, negli oggetti di ogni giorno. Quotidiana normalità per l’uomo comune, stradoridnaria esperienza per chi ha il dono della visione poetica.

Arijan Kallço è un poeta, dunque anche il suo diario di viaggio, nato dai suoi soggiorni in Grecia, dalla sua Korçë fino a Salonicco e quindi ad Atene, non può essere poesia.

Non v’è altri che lui, tra migliaia di visitatori che a grappoli pavimentano l’Acropoli, ad ascoltare la voce di quelle antiche pietre, a percepirne l’eterna bellezza, a nutrirsi del soffio di quei venti che da millenni si insinuano cantando tra lo schietto erersi delle colonne.

Colonne” è cosi anche il titolo della lirica che apre questa raccolta, seguita dalla rievocazione di antiche divinità pagane, accostate a volti femminili di oggi ma ancora capaci di incarnare nell’armonia dei tratti l’essenza di quei passati splendori. La quiete millenaria di Atene, il brulicare di vita sul lungomare di Salonicco, l’animo combattuto tra il tornare e il restare, la ricerca di un incontro e gli incontri non cercati: ogni cosa è narrata senza risparmiare parole, con una scrittura lussureggiante che rimanda talvolta a Kavafis, il cui nome riaffiora nella poesia “Netëve të Athinës”.

Forse nessun altro luogo come la Grecia dà modo al visitatore di muoversi nel tempo, oltre che nello spazio, e nulla come la bianca luce delle sue isole o la maestosa solitudine delle montagne rende gli uomini così simili agli dei così vicini agli uomini.

Il filo che lega i pensieri del poeta si dipinga leggero e quasi immateriale tra pelaghi e arcipelaghi, tra l’attimo immediato ed i secoli passati, per atterrare infine lucido e preciso sulla carta, lunga scia d’inchiostro che narra e disegna l’indomabile, indifferibile, inevitabile urgenza che l’uomo ha dal viaggiare.

“Non c’è niente, dunque che mi tenga legato ad un luogo se non il prossimo viaggio  mio indiscusso guaritore”.

Pierangelo Filigheddu

La tua immensita m’ubriaca

Eh, chissà
quante volte
sulle tue strade infinite
mi sono ubriacato dell’immenso.
Camminando camminando
esse più di me
verso la fine che
non s’intravedeva mai.
Correvano
Una corsa irrefrenabile
contro il tempo.
Così sono fatti i poeti:
c’è chi si illumina,
mentre io mi ubriaco
mi ubriraco di te, della tua immensità
e faccio follie.
Canto, ballo fino all’alba
e scrivo tante poesie.
Qualche pausa obbligatoria alle fermate
e le colombe bianche
portatrici di immagini storiche
mi calmavano l’anima.
Meglio che le fermate non
finiscano mai,
la fine è prigionia
l’immenso è libertà.

Atene- Patrasso, Estate 2009

Colonne

Colonne che portano
il peso dei tempi.
Le rughe sono le stesse
forse più profonde.
La saggezza racchiusa
tra i muri muti
non andò mai persa.
Passo silenzioso davanti:
maestri diligenti immortalati
tra i loro discepoli,
figure che non hanno voce
da secoli.
La buona semenza era sparsa.

Non vorrei

Non vorrei che questo giorno
finisse.
Non c’è peggior consolazione.
Domani devo partire.
Anche se restassi
un altro giorno non basterebbe.
È poco.
Non sarà eterno,
quando il distacco bussa alla porta.
Il destino è una vendeta crudele.

Il cielo d’estate

Sotto questo cielo d’estate
non voglio abbandonarmi
ai sogni.
Ti tengono in ostaggio.
Percezione falsa di passioni,
pretesto di litigio.
Il cuore libero, rilassato
traffica altrove le sue emozioni.

A cura di Biljana Biljanovska