Arrivai in quel quartiere di periferia che era una bambina di 8 anni.
Dai finestrini della Douphine di mio padre tutto mi sembrava strano.
Vidi un canale con l’acqua trasparente e vicino c’erano i binari di un trenino che trasportava il sale proveniente dalle Saline di Stato, tutte le case erano uguali.
Si arrivò nel nostro palazzo dove c’era tanta gente, inquilini su e giù, un’altra famiglia di fronte al nostro portone.
Non capivo perché dovevamo vivere in un contesto pieno di persone.
Nell’altra casa vivevamo da soli, mio padre era il custode della Ditta dove lavorava.
Ero molto disorientata, ho sempre avuto bisogno di tempo per abituarmi alle novità.
Abbracciata al mio Pinocchio, non facevo altro che rosicchiarle il naso, volevo creare una barriere tra noi e le cose nuove che ci stavano accadendo.
Nella nuova casa si fece amicizia con la famiglia del piano di sù..piano piano timidamente.questa è anche la storia di un’amicizia che va avanti da 57 anni.
In ogni famiglia c’era qualche bimbo della nostra età e non ci volle molto perché ci si trovasse a giocare con la palla, con la fune e quei giochi che ora sono diventati “vecchi”.
Mia mamma cuciva e ben presto si trovò a confezionare vestitini per i bimbi della famiglia del piano superiore, logicamente per amicizia.
Signora Emilia da buona napoletana, in cambio, ci faceva dono delle conserve di melanzane, peperoni, carciofi e tutto ciò che veniva messo sottolio.
Mamma preparava i fritti, i ravioli dolci e le zeppole ed i vassoi andavano nel palazzo in modo verticale…erano tre le famiglie che usufruivano di tale ghiotto traffico: quella di Beatrice, noi ed Emilia.
Noi bimbi eravamo incaricati di portare i piatti con i dolci, ma il viaggio per noi era sempre “lungo”, nelle scale ci mangiavamo la metà dei dolci che dovevamo consegnare.
Certo che abbiamo fatto fare delle figure non proprio belle a mia madre, con i piatti mezzo vuoti.
Sig. Salvatore, il signore di sù, era molto tecnologico, gli piacevano le novità, le prime fotografie a colori ce le fece lui. Ricordo che per sviluppare un rullino si doveva aspettare un mese, il tempo d’inviarle a Roma e rientrare.
Sto parlando del 1964.
Le prime gite a Geremeas sempre con la famiglia del piano superiore.
Caspita loro avevano il cestino di vimini con i piatti e bicchieri fermati dagli elastici, una vera sciccheria, avevo visto quei cestini nei cartoni dell’Orso Yoghi nel parco di Yellowstone.
In quella povera cinquecento familiare di Sig, Salvatore, un giorno al mare si andò in undici, tipo sardine, ma quanto divertimento. Certo oggi sarebbe da ritiro patente una situazione simile.
Gli zii del piano superiore avevano l’enciclopedia Conoscere….io ero pazzamente innamorata di quei libri e non mancava occasione perché non la chiedessi in prestito per le ricerche scolastiche. Ricordo che avevo un rituale: quando avevo in prestito il libro, scrivevo a matita il mio nome, per cancellarlo poi all’atto della restituzione.
Al mare nei giorni feriali d’estate, si andava tutti in carovana, si tagliava per i campi dell’adesso quartiere del Sole che ancora non esisteva e, si arrivava alla prima fermata al pontile di legno.
Bagno, giochi e pane con pomodoro poi si rientrava per le 13.00 a casa sempre in fila indiana.
C’era il rituale d’estate dei semi di meloni lavati e messi ad asciugare al sole perché poi in serata c’era il giro dei giornalini di Topolino e Diabolik ed i semi ci accompagnavano nella lettura.
Sono passati gli anni e le due famiglie sono andate sempre d’accordo e in armonia, poi gli innamoramenti ed i matrimoni di noi ragazzi. Le due famiglie sempre insieme.
Poi la tragedia di mio fratello e loro c’erano.
C’erano le pentole con il brodo che prepararono non so per quanto tempo per darci una mano d’aiuto e per farci capire che erano sempre vicini.
Poi…gli anni passano e nuovamente a noi ….
Mio padre nella sua pur gravissima malattia, ha voluto gli spaghetti cucinati da loro perché, disse il sugo come lo sanno fare i napoletani, non sa farlo nessuno.
Tante cose belle e brutte vissute con questa famiglia.
Quando succedeva qualcosa io correvo sù e trovavo sempre la giusta consolazione.
Idem per loro, le nostre porte erano praticamente aperte sempre.
Ci si trovava a pranzo noi ragazzi da loro e, altre volte loro da noi, senza preavviso, senza cerimonie.
Abbiamo visto nascere le ultime due bimbe della loro famiglia…e tante cose ci hanno legato a loro e ci legano.
Sono quei legami indistruttibili che non finiranno mai.
Quel quartiere di periferia…allora era periferia…dove non arriva nessun pullman allora…è stato molto importante per la mia infanzia.
Tutto scorre davanti alla mia mente come un film.
Ricordo le feste del quartiere, quando le madri mettevano sulle finestre i copriletti per il passaggio della processione, poi nel quartiere si montava il palco ed i più coraggiosi si esibivano nel canto e le recite. Altri invece preferivano andare sull’autoscontro o in quegli aerei dove sparavi per gioco il vicino di postazione.
Il bancone del torrone e dello zucchero filato era il più gettonato
Chissà perché ora mi sembra che allora fosse tutto “bello”.
Tanti erano i burloni che vivacizzavano la vita del Quartiere La Palma.
Tanti gli scherzi anche “pesanti” che sono rimasti nella storia del Quartiere.
Così come i loro soprannomi.
La nascita di squadre di calcio hanno colorato i campetti sportivi.
Un quartiere che ha visto “sparire” una generazione negli anni 80 quando la droga la faceva da padrona.
Un quartiere che ha visto partire all’estero tanti ragazzi, alla ricerca di un posto di lavoro ed un futuro, ragazzi che non sono più tornati se non per far visita ai parenti.
Infine, un quartiere che ha visto anche invecchiare e “perdere” i nostri genitori.
I ricordi sono parecchi, ci si conosceva tutti almeno di vista.
Tanta nostalgia, comunque ho la certezza che affettivamente la famiglia di Emilia e Salvatore vivono vicino a noi legati da quel filo invisibile che si chiama Amore.