Il Sommo Poeta, dopo che si è visto sbarrare il cammino da una lupa, che gli ha fatto tremar le vene e i polsi impedendogli di raggiungere il dilettoso monte, farà l’incontro che gli cambierà il destino: quello con Virgilio.
Questi, presentatosi con un’ampia perifrasi, dalla quale Dante rileva che si trova proprio davanti a quel Virgilio, prima esorta il viandante a seguire un’altra strada, “se vuo’ campar d’esto loco selvaggio ”, poi gli annuncia l’avvento di un veltro, che farà morir con doglia la lupa, infine conclude in tal modo: “Questi non sarà avido di terre, né di ricchezze, ma nutrirà il suo spirito nel nome della Trinità Divina, e avrà umili origini. Salverà l’Italia decaduta, a causa della quale persero la vita la giovane Camilla, Eurialo, Turno e Niso a causa delle ferite. Questi la caccerà per ogne villa, fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno, là onde ’nvidia prima dipartilla ”.
I primi commentatori della Commedia furono abbastanza cauti nel dare una identità vera e propria a tale personaggio, mentre più audaci furono i successivi, anche se in realtà anche costoro dovettero prendere atto che l’identità del veltro era secondaria rispetto alla sua funzione di estirpare la cupidigia – lupa dall’animo degli uomini. Se Vellutello fu il primo a dire che fosse Cangrande della Scala, il signore di Verona che diede ospitalità a Dante in esilio, per Betti fu Benedetto XI, il successore di Bonifacio VIII, che tentò vanamente di porre fine alle lotte civili di Firenze; per Mazzoni, invece, fu Enrico VII, l’imperatore a cui Dante scrisse perfino una lettera, quando nel 1310 stava per scendere in Italia a restaurare l’autorità dell’Impero.
Gli studiosi più recenti (Bambaglioli su tutti), comunque, appurata ormai la inutilità della ricerca, si sono orientati verso tre figure rappresentative: un imperatore o un suo vicario (Cian, Singleton, Barbi), un pontefice (Torraca, Porena, Tondelli), un virtuoso riformista, come diremmo oggi (Petrocchi, Sapegno, Pietrobono). Ma forse l’ipotesi più giusta, che sottoscriviamo appieno, è che neppure Dante conoscesse l’identità di questo veltro, al momento della stesura del primo canto dell’Inferno. E chissà se, nel citarlo, non abbia provato un sottile piacere, magari manifestato con un sorrisino sulle labbra, immaginando futuri lettori e interpreti tormentarsi per comprendere chi fosse senza venirne a capo!
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