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Rosa fresca aulentissima, parte quarta

Rosa fresca aulentissima, parte quarta


Palermo. Corte dell’imperatore Federico II.

Il mattino continua a essere soleggiato, anche se qualche nube, di tanto in tanto, viene a macchiare l’azzurro profondo del cielo. Nel lussureggiante giardino della corte, il giullare e la fanciulla, seduta su una panchina, sono ancora impegnati nella loro personale tenzone amorosa. Le insistenze di lui si fronteggiano tuttora con i dinieghi di lei, che lo sta ad ascoltare con molta pazienza. Infine, la svolta: finalmente uno spiraglio si apre e…

Parte conclusiva – con un esito scontato sin dall’inizio – di Rosa fresca aulentissima, il famoso ‘contrasto’ di Cielo d’Alcamo, tra i primi esempi della letteratura italiana.

Giullare (ironico):

“Se tu nel mare gíttiti, donna cortese e fina,
dereto mi ti mísera per tutta la marina,
e da poi c’anegàsseti, trobàrati a la rena
solo per questa cosa adimpretare:
conteso m’ajo aggiungere a peccare”.

Fanciulla (mordace):

“Segnomi in Patre e’n Filïo ed in santo Matteo:
so ca non se’ tu retico o figlio di giudeo,
e cotale parabole non udi’ dire anch’eo.
Morta si è la femina a lo’ntutto,
pèrdeci lo saboro e lo disdotto”.

Giullare (gravemente):

“Bene lo saccio, càrama: altro non pozzo fare.
Se quisso non arcòmplimi, làssone lo cantare.
Fallo, mia donna, plàzzati, ché bene lo puoi fare.
Ancora tu no m’ami, molto t’amo,
sì m’hai preso come lo pesce all’amo”.

Fanciulla (possibilista):

“Sazzo che m’ami, e àmoti di core paladino.
Lèvati suso e vatene, tornaci a lo matino.
Se ciò che dico fàcemi, di bon cor t’amo e fino.
Quisso t’adimprometto sanza faglia:
te’ la mia fede che m’hai in tua baglia”.

Giullare (sicuro):

“Per zo che dici, càrama, neiente non mi movo.
Intanti prenni e scànnami: tolli esto cortel novo.
Esto fatto fat pòtesi intanti scalfi un uovo.
Arcompli mi’ talento, amica bella,
ché l’arma co lo core mi si ’nfella”.

Fanciulla (risoluta):

“Ben sazzo, l’arma dòleti, com’omo ch’ave arsura.
Esto fatto non pòtesi per null’altra misura:
se non ha’ le Vangelïe, che mo ti dico ‘Jura’,
avere me non puoi in tua podesta;
intanti prenni e tagliami la testa”.

Giullare (buffonesco):

“Le Vangelïe, càrama? ch’io le porto in seno:
a lo mostero présile (non ci era lo patrino).
Sovr’esto libro júroti mai non ti vegno meno.
Arcompli mi’ talento in caritate,
ché l’arma me ne sta in suttilitate”.

Fanciulla (ben disposta):

“Meo sire, poi juràstimi, eo tutta quanta incenno.
Sono a la tua presenzïa, da voi non mi difenno.
S’eo minespreso àjoti, merzé, a voi m’arenno.
A lo letto ne gimo a la bon’ora,
ché chissa cosa n’è data in ventura”.


Rosa fresca aulentissima, parte quarta

Carlo Rocchi

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