Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’sono,
del vario stile in ch’io piango et ragiono
fra le vane speranze e ’l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.
Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;
et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.
– Là dove il poeta torna con la mente al suo giovanile peregrinare dietro alle cose futili del mondo, su cui la più parte della gente ebbe modo di ridire, comportando per lui, diventato uomo, almeno tre conseguenze, quelle che egli chiama il ‘frutto’: la vergogna, il successivo pentimento, e la limpida conoscenza, in quanto esperienza, della inutilità di perseguire gli affari terreni –
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