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Il bosco, la bestia e le confessioni. Come agire?

Il bosco, la bestia e le confessioni. Credo di aver sbagliato. Scrivere diviene lentamente un obbligo, un dovere che impongo nolente a me stesso nella speranza di un riscatto. Si spegne rapidamente quella fiamma che prima mi ardeva, e che forse ancora resiste. Il fuoco che un tempo mi scottava, lasciandomi buchi nella pelle, sta lentamente lasciando spazio ad un gelido vento di confusione.

Che mi aspetta? Come agire?  Che sentiero sto imboccando? Il bosco, la bestia e le confessioni.

Non lo so. Ho vent’anni, ma mio Dio, me ne sento cento. La mia mente lavora ogni giorno instancabile, più resistente di Stakanov, senza concedermi né quiete né riposo. Ma è lavoro inutile, fatica sprecata. Per quanto spinga o corra, mi ritrovo sempre al punto di partenza di questo silente bosco, solo ed infreddolito. Fuggo da una bestia che non conosco, che non vedo né sento, ma che percepisco e basta. Una fiera nera e nemica che mi agita e strappa quotidianamente per pur0 diletto. Io la imploro, con  le lacrime agli occhi e il sangue in bocca, di rendermi libero e terminare la sua infima caccia all’uomo; lei ride, con gli occhi pregni d’ira e i denti bagnati nel peccato, accarezzandomi con il suo veleno e costringendomi al supplizio.

Mi costringe a bere la sua dolce bevanda che, a primo impatto, riscalda la gola e il petto.

Trovo il mio antidoto e conforto temporaneo, riprendo coscienza di me stesso e gioco con il tempo e la vita. Son felice, o almeno sereno, nulla mi turba. Passa poco tempo e il gusto da lieto diviene amaro, insopportabile come catrame che cola pastoso giù nello stomaco. La bile risale infetta, le forze mi abbandonano e io mi getto nell’oblio. Ancora una volta cado nell’inganno della bestia, e come sempre devo riprendere la mia fuga. Solo.

Corro per vasti boschi di alberi dalle fronde dorate, che crescono uno dopo l’altro, tanti come i minuti vissuti. Alcuni più belli, altri più grandi, molti gracili e destinati alla morte. Mentre li osservo, percepisco il loro sguardo indagatore su di me: mi giudicano tutti e risvegliano la vergogna di antiche azioni tornate a gravarmi sul petto. La temperatura si abbassa e il mio fiato si condensa, il gelo del bosco impedisce i miei movimenti.

Ora son paralizzato, immobile e già in lontananza sento i latrati di trionfo della bestia.

Sentite come gode la bastarda, si crogiola nel piacere: ogni suo ululato è una goccia di sudore freddo giù per le spalle, ogni ruggito un moto di terrore che mi pervade, ogni sua risata è un mio pianto. Ecco! L’infima è arrivata e gioca con me, stuzzicandomi come un gatto con l’ormai sconfitto topo.

Guardate come sguazza nel mio mare di dolore.

Dopo ore, interminabili momenti, sparisce così com’è apparsa. Mi sento libero seppur sconfitto e i corvi, inguaribili schernitori, ridono di me volando sopra di me in cerchio. Mi danno rabbia i loro gracchi, non sopporto la loro vergogna. Inizio a sputarli e ad urlare, spergiurando il nome di Dio, la mia vita e il creato. Spergiuro solo, forse più terrorizzato che furioso, in un bosco nemico. Il bosco della mia mente.

Cerco una via d’uscita ma gli alberi me lo impediscono. Il mio tempo qua non è finito, mi sussurra il vento, chissà se alleato o nemico. Disperato, scavo la terra e scortico le mie unghie, scalcio contro innocenti animali e brucio vili piante. Sovverto l’ordine di quel luogo perduto, ma niente. Ero prigioniero, e tale rimango.

Mi arrendo. Mi siedo. Piango.

Le mie parole sussurrate divengono melodie trasportate dalla brezza e rese poesia per il bosco. Poesia cantata dai corvi, tanto odiati, e ballata dagli animali, tanto torturati. Le mie lacrime di dolore bagnano la nera terra e da essa crescono rigogliosi i boccioli della speranza, mentre appassiscono rapidamente i fiori del male, radicati dentro me e che furono forte foresta.

Mi alzo e sento il mio Io chiedere riscatto e risvegliarsi: gli alberi si ritraggono obbedienti, sento la bestia che guaisce lontano e il vento mi conduce verso la mia meta, il barlume di luce che da tanto mi sfugge. Arrivo alla fine del mio percorso e una lapide d’argento, priva di nome. Al suo fianco, un cervo bianco m’osserva con dolcezza. Mi accuccio vicino a lui e dormo un sonno profondo, privo di turbamenti.

E il freddo a svegliarmi dopo ore e mi ritrovo ancora lì, una nuova volta solo nel Bosco.


Il bosco, la bestia e le confessioni

Roberto Alvau

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Roberto Alvau

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