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Il mistero di essere bambini attraverso un sogno

Questa è la piccola storia di un sogno e di come questo sia stato in grado di cambiare la mia vita.

Accadde una sera di molti anni fa, avevo dieci anni e il giorno dopo mi sarei dovuta alzare presto per andare a scuola, così mi preparai. Misi il pigiama, lavai i denti e sfilai sotto le calde coperte invernali. Non ci volle molto prima che il sonno prendesse il sopravvento. C’è un momento prima che il sogno incornici la nostra vista, ed è quello del buio e del silenzio che penetra nelle orecchie arrivando fino in profondità. Sembra di stare completamente soli ma ci si sbaglia. Poi la vista inizia a schiarirsi, un breve respiro, ed ecco il sogno.

Iniziarono a dispiegarsi gli alberi, centinaia di migliaia di alberi, poi un lago con un ponte di legno ad attraversarlo, una panchina e un lampione acceso.

Era un bosco, a tratti forse sembrava un giardino senza inizio e senza fine. Gli alberi avevano le fronde così fitte che nessuna luce poteva passare. Eppure non era buio, l’aria era tinta di un colore grigio – verde, quieta. C’era un sentiero stretto che accompagnava alla panchina, e questa aveva lo schienale ricoperto di margheritine. Mi sedetti ad osservare il lago, la cui acqua era fermissima. Non si sentiva il vento, e non si sentivano neppure gli animali che, in principio, credetti non ci fossero, ma in seguito scoprii che mi sbagliavo. In quel bosco vigeva una regola: bisognava fare silenzio, e quando o se si parlava, lo si doveva fare a bassa voce. Non ci volle molto, dunque, per scoprire che non ero sola.

D’improvviso, vicino al ponticello di legno, comparve uno scoiattolo.

Era piccolo e con la coda rossa, dall’aria curiosa. Si avvicinò cautamente, cercando di capire chi fossi odorando con il nasino all’insù che si muoveva ad intermittenza. Lo salutai e sorprendentemente, lui mi rispose. Così feci la mia prima scoperta, ovvero che gli animali che abitavano in quel bosco erano in grado di parlare. Scoiattolo era un gran chiacchierone, e amava raccontare le barzellette, anche se nonostante fossero molto divertenti, non sortivano un grande effetto sugli estranei come me, perché le doveva dire a voce bassa. Mi spiegò che in quel bosco, gli alberi riposavano ogni giorno dell’anno, ed anche il lago, che non si muoveva mai, eccetto i giorni delle festività natalizie.

Dal 24 dicembre fino alla mezzanotte dell’epifania, tutti facevano festa, si poteva cantare, ballare, c’erano i cori dei barbagianni e lo spettacolo dei topi che pattinavano sul lago ghiacciato.

Solo in quei giorni dell’anno nevicava, e nevicava sempre parecchio, e allora gli alberi smettevano di dormire per il gran freddo e si riscaldavano alla vista di tutta quell’allegra compagnia. Scoiattolo poi, felice di conoscere qualcuno che non apparteneva al bosco, decise di farmi passeggiare lungo i sentieri, illustrandomi ogni angolo con profonda passione. Diceva che quel luogo era da sempre stato la sua casa, e che lì non ti saresti mai sentito solo. Anche se gli alberi dormivano, ma tu avevi bisogno di aiuto perché magari ti eri perso o eri triste, loro ti proteggevano amorevolmente, come fanno i padri con i figli spaventati per via di un incubo.

Poi mi portò dai suoi cari e vecchi amici, che amavano riunirsi vicino ad una fontana di pietra, tutta ricoperta da edera rampicante e dove l’acqua scorreva sempre.

Ad aspettarci c’erano un porcospino, un gufo, un cerbiatto e un orso bruno. Avendo dieci anni ero alquanto minuta, e ammetto che quando mi ritrovai davanti Orso iniziai a tremare tutta per la paura. Era alto tre metri e il suo pelo era folto e morbido. Tuttavia, scoprii subito che era un gigante buono, Orso non avrebbe mai fatto del male a una mosca e tutti nel bosco gli volevano bene. Anche Gufo, Cerbiatto e Porcospino erano speciali, mi vennero subito incontro per conoscermi e farmi domande del tipo:

“Come ti chiami?” “Da dove arrivi?” “Vuoi passeggiare con noi?” “Sei proprio carina, lo sai?”.

E di passeggiate ne facemmo tante, tutti insieme, fino a quando non arrivammo davanti ad una grande casa. Aveva tante finestre e un portone di ferro e vetro, ma il vetro era colorato e non si poteva vedere niente all’interno. Gufo prese parola, e spiegò che la grande casa era nata insieme al bosco, non si sapeva quando, e che questa conteneva tutti i sogni degli uomini. Si poteva entrare se si voleva, a patto che si avesse un buon cuore, ma, continuò Gufo, quando si usciva non ci si ricordava più di tutti i meravigliosi sogni custoditi dalla casa. Ricordo di esserci entrata molte volte durante le mie visite al bosco, ma se oggi dovessi descrivere come fosse all’interno, non ne sarei in grado. Se penso a come poteva essere, ho davanti una fitta nebbia a coprirne il ricordo.

Fu così che in quel sogno conobbi quelli che sarebbero divenuti i miei più cari amici.

Furono molte altre le volte in cui passeggiammo insieme e giocammo, in cui scoprimmo lati meravigliosi e sconosciuti di quel bosco senza fine. Loro riuscivano sempre a consolarmi se avevo timore di qualcosa: scoprii che Orso era sensibile, e se io piangevo lui piangeva con me; Gufo era saggio invece, e siccome era l’unico tra noi a saper volare, riusciva a vedere le cose da prospettive migliori, avendo il merito di saper offrire buoni consigli; Cerbiatto era un grande avventuriero, difatti lui mi ha insegnato a non temere il buio o “ciò che non possiamo vedere” come amava dire lui; Scoiattolo mi ha insegnato ad essere fedele e ad aiutare gli amici nel momento del bisogno; infine Porcospino, così piccolo e così difficile da abbracciare a causa degli aculei, mi ha insegnato a regalare sorrisi a chi è diverso da noi.

Non so dire quante furono le volte che andai a trovarli, non so dire neppure quante volte mi riposai sulla panchina con lo schienale ricoperto di margherite o quante ho festeggiato il Natale con loro e tutti gli abitanti del bosco e con gli alberi che mi facevano dondolare sulle altalene appese ai rami. Ciò che so dire con assoluta certezza, è che un giorno non ho più trovato il bosco, né i miei amici. Mi addormentai sognando cose che non ricordo, di poca importanza. E più diventavo grande più i sogni che facevano si allontanavano da quel bosco così fitto e dagli amici sinceri che gli animali erano stati per me. Non li ho mai salutati, non ho mai detto loro addio e neppure loro lo hanno fatto con me. Semplicemente, non ero più una bambina.

Questo però non ha mai significato dimenticare quegli amici che in qualche maniera, attraverso la loro sincerità, mi hanno definita da adulta.

Forse, la verità, è che le avventure più profonde si vivono da bambini, poiché essere bambini fa di noi dei misteri. Forse, il segreto del bosco e degli amici che vi abitavano, era che bisognava ritrovare il bambino dentro di noi per poter vivere.

Carmen Abbadessa

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