Il bello delle commissioni urbanistiche. Uno stanzone plumbeo. Tetro. Da commissariato anni ’30, del tipo di Quer Pasticciaccio brutto di Via Merulana. Anche se eravamo nel 1994. Il nostro caro Silvio aveva vinto da poco le elezioni politiche e si apprestava a ricevere dalle mani del Presidente Scalfaro l’incarico di formare il nuovo governo, quello della Rinascita italiana (vi ricorda qualcosa?).
Illuminato (parola grossa!) da un asfittico neon, che faceva più rumore che lucore. Al centro, un tavolo di rovere, massiccio coperto da un lato di vecchi fascicoli.
All’interno, quattro persone in piedi, tre di sesso maschile, età compresa tra i quaranta e i cinquanta, e una di sesso femminile, di aspetto alquanto giovanile, ma di età indefinita, si squadravano con il volto ansioso. Tra gli uomini, vestiti in modo ordinario, uno fumava davanti alla finestra e guardava il panorama, un altro sfogliava distrattamente un quotidiano, quello accanto si torceva di continuo il lobo di un orecchio; la donna, invece, in tailleur blu di donna in carriera, passava e ripassava il rossetto su labbra già dipinte.
Di quel membro, appena nominato dall’Amministrazione Comunale di sinistra, insediatasi da appena un mese, non senza qualche parere contrario, alle Commissioni Urbanistiche di un medio comune dell’hinterland romano.
Giunto che fui alla porta di quello stanzone, venni annunciato dall’usciere in divisa, il quale mi sussurrò, al varco della soglia, non senza vergognandosene un po’: “Geometra, stia attento”.
Feci un impercettibile cenno con la testa a mo’ di assenso ed entrai. Avevo fatto pochi passi, che mi raggiunse una voce stentorea: “Geometra, per quel progetto di Camposereno di cui Le parlavo per telefono l’altro giorno, sa… noi abbiamo trovato un accordo… manca solo una firma”.
Rimasi di pietra. Un groviglio di pensieri, la mente a cento all’ora. Il vento moralizzatore che imperversava su tutto il Paese, aveva forse cambiato direzione e si era scordato dell’Italia? Mi volsi prontamente e uscii come una furia, senza salutare nessuno, nemmeno l’usciere. Dopo qualche giorno rassegnai le dimissioni e non tornai più in quel comune.
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