Psicologia dello sport, fantasia o realtà?

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“Rare sono le persone che usano la mente, poche coloro che usano il cuore e uniche coloro che usano entrambi”. (Rita Levi Montalcini).

“Io credo che l’unità di mente e corpo sia una realtà oggettiva. Non si tratta solo di parti collegate in qualche modo tra di loro, ma di un tutto che è indivisibile durante il suo funzionamento. Un cervello senza corpo non potrebbe pensare”. (Moshe Feldenkrais).

Dalla lettura di queste parole, si intuisce che per poter raggiungere alti livelli di prestazione, è fondamentale realizzare al meglio questa unità.

Essa, spesso, è predicata negli ambienti sportivi, ma mal praticata. In quei casi in cui si cerca di avvicinarsi a tali aspetti, spesso lo si fa in maniera dilettantistica e poco professionale. Non è difficile, incontrare, in molti addetti del settore, inconsce resistenze. Per capire, perché questo accade, è necessario, fare un salto indietro, nel tempo.

Cartesio affermava che nell’universo, erano presenti due differenti profili di verità. Nello specifico, le chiamava res cogitans e res extensa.

Secondo la sua visione, la prima corrispondeva all’anima, ma per il mondo scientifico, oggi, si identifica con la mente.

La seconda, invece, coincideva con la materia, quindi, per l’argomento che trattiamo, al corpo, compreso il cervello, di cui fa parte.

In base a questa netta distinzione, le leggi della natura erano applicabili solo alla seconda. Nel corso dei secoli, la medicina si sviluppa rimanendo suddita di questi concetti. In altre parole, l’unica cosa che può indagare, con il metodo scientifico, è il corpo, escludendo, da questa ricerca, l’anima, la psiche. Oggi, le resistenze di cui parlavo prima, sono riconducibili ad un atavico retaggio, spesso inconsapevole, di questi concetti. Al giorno d’oggi, per fortuna, le conoscenze scientifiche hanno fatto passi da gigante. La PNEI( Psico Neuro Endocrino immunologia), in accordo con le più recenti acquisizioni delle Neuroscienze, hanno dimostrato la indissolubilità del’unione mente, corpo e, come si influenzino reciprocamente, bidirezionalmente.

Tutti coloro che puntano a far emergere il massimo delle potenzialità di un atleta, non possono, se vogliono essere al passo dei tempi, non tener conto di ciò.

L’Academy del Chelsea ha accertato che il 95% dei calciatori, tra i 16 ed i 18 anni, ha problemi collegati all’aspetto mentale del gioco. A titolo di esempio, vengono riportati, il coraggio nei contrasti aerei, incapacità di adattarsi a specifiche posizioni tattiche, mancanza di convinzione, in partite importanti, e cosi via.

“L’allenamento mentale, proposto in modo professionale e specifico, ed incorporato, nel programma di allenamento globale, può migliorare la prestazione, fino al 57%”. Ricerca presentata dalla Brithis Psycology Society, 2003.

I vantaggi che può dare una buona preparazione mentale, sono innumerevoli.

Solo per citarne qualcuno, miglioramento dell’autostima e della consapevolezza delle proprie potenzialità. Sviluppo di convinzioni positive, nate dalla consapevolezza di aver lavorato, in modo completo, in tutte le aree che portano ad una prestazione eccellente. Cioè, l’area atletica, tecnica, tattica, mentale.

Già nel 1913, Pierre De Coubertin aveva organizzato, a Losanna, un congresso, in cui si parlava degli aspetti psicologici della pratica sportiva.

L’importanza della preparazione mentale, degli atleti, fu ribadita, durante i giochi olimpici del 1956. Nel 1962, il comitato olimpico giapponese organizzò un settore riservato alle tecniche di allenamento mentale degli sportivi.

Nel 1965, nacque, a Roma, per merito dello psichiatra italiano Ferruccio Antonelli, la Società internazionale di psicologia dello sport.

La ricerca scientifica, in questi ultimi anni, ha confermato che l’agire è correlato alla cognizione, percezione, emozione, motivazione. Queste espressioni dell’azione, sembrano dissimili. Si è scoperto, invece, che sono tenuti insieme da un articolato network neuronale. Il risultato dell’agire, inoltre, è fortemente condizionato dall’attenzione. Quest’ultima è un processo cognitivo molto complesso. Esso può essere suddiviso in tre sottoprocessi, che sono in intima relazione tra loro, come l’orientamento, la selezione, la concentrazione. Il non corretto procedere di uno solo di questi, danneggia il risultato dell’azione.

L’attenzione orienta stabilmente ogni nostro modo di agire. Nello sport, questo processo cognitivo è stato oggetto di indagine.

Infatti, l’esito finale di un risultato sportivo è strettamente collegato, a come un atleta sia in grado di applicarsi sui suoi pensieri, stati d’animo e azioni. Inoltre, da come sia in grado di intercettare gli impulsi importanti, provenienti dall’ambiente circostante, mettendo in secondo piano, quelli di scarsa importanza, ai fini del risultato della prestazione. In altre parole, possiamo dire, che ci sono molti modi di essere attenti. Inoltre, essi dovrebbero adattarsi, ai vari contesti che, di volta, in volta, andiamo a fronteggiare.

In virtù di quanto, fin qui, esposto, possiamo affermare che, un bravo atleta è colui che riesce a modificare rapidamente, il modo in cui è attento.

Di frequente, la dicitura attenzione e concentrazione, viene usata, come se si trattasse della stessa cosa. In realtà, la concentrazione, come precedentemente accennato, riflette un aspetto dell’attenzione, cioè, il processo che entra in gioco, dopo che è stato selezionato l’oggetto su cui focalizzarci. C’è da aggiungere che, l’attenzione è fortemente correlata alla percezione, motivazione, emozione, apprendimento, azione.

A questo punto dell’esposizione, ritengo doveroso, fare una distinzione, per quanto riguarda la preparazione mentale, tra mental training (allenamento mentale) e psicologia dello sport.

Il primo riguarda la ricerca della prestazione. L’obiettivo è quello di allenarsi ed entrare in condizione ottimale, da un punto di vista mentale, per riuscire ad avere delle prestazioni eccellenti. In altre parole, come si fa la preparazione atletica, tecnica e tattica, si fa la preparazione mentale. Alla luce, di quanto detto, si evince che il preparatore mentale, dovrebbe far parte a pieno titolo dello staff tecnico. Questo allenatore allena la mente. Cioè, il pensiero, il linguaggio che viene utilizzato interiormente (dialogo interno), la concentrazione, il livello di attivazione, la motivazione. in altre parole, si allena il qui ed ora, cioè, essere presenti a se stessi, nel momento in cui c’è la gara, con tutte le risorse cognitive.

La seconda riguarda prevalentemente il lavoro dell’ operatore psicologico (psicologo, psicoterapeuta).

Significa andare a lavorare su una problematica di tipo psico sportivo, ad esempio l’atleta non rende secondo le proprie potenzialità, oppure, ha una difficoltà in un momento specifico della stagione. Altri aspetti che cura l’esperto in psicologia dello sport sono gli aspetti relazionali, la comunicazione interna alla squadra, la formazione dello staff, la gestione degli infortuni, e la gestione del fine carriera.

Ogni atleta è consapevole del fatto che, per imporsi, è necessario battere chi a lui si oppone. Inoltre, sa bene che esiste un altro avversario, ancora più forte, questo si nasconde nella sua parte più profonda. In altre parole, sto parlando della paura, dell’insicurezza, della poca stima di se.

Lo scontro con il rivale finisce al termine della competizione.

Il conflitto con se stesso potrebbe non finire mai. Per questa ragione, la maggior parte delle sfide si vincono o si perdono prima di scendere sul terreno di battaglia. Per questo motivo, l’allenamento mentale, per chi ambisce ad una preparazione sportiva completa, diventa una componente fondamentale dell’ addestramento. Nelle mani giuste, guidato con competenza, può dare grandi risultati, altrimenti potrebbe fare danni o nel migliore dei casi, non produrre alcun effetto.

In questa ottica, è doveroso, fare un breve riferimento ai neuroni specchio. Essi permettono di anticipare i propositi dell’antagonista. La loro efficienza è l’elemento imprescindibile, se si vuole mirare al successo.

Quando un atleta è in azione, nella sua testa, si realizza una miscela di dati sensoriali, con conseguenti risposte motorie. Qualcosa di analogo accade, anche, quando una persona guarda una partita del suo sport preferito.

Infatti, è capitato a tutti, osservando un calciatore, che sta per fare goal, involontariamente, muoviamo la nostra gamba, come se fossimo noi, proiettati all’interno dell’azione di gioco. Mettere in atto un gesto atletico, oppure, guardare il proprio campione preferito che lo esegue, non fa differenza. Infatti, allo stesso modo, si innescano attività cerebrali di natura percettiva. La ricerca scientifica ha evidenziato, che immaginare, mentalmente, un azione, avvia una serie di trasformazioni psicofisiologiche, che si riscontrano, quando essa viene davvero effettuata e che sono collegate ai meccanismi neuronali della stessa.

Aggiungo, queste ulteriori considerazioni. Ascoltando molti commenti televisivi, alla fine di molti eventi sportivi. Guardando le interviste, fatte ad allenatori, dopo una partita di calcio, persa, vinta o pareggiata, la frasi che ascolto. che si ripetono e si inseguono, sono sempre le stesse. “L’atleta non era libero di mente, aveva un blocco emotivo”. Sempre ascoltando le domande che i giornalisti ripetono agli allenatori, del tipo: ” in base a quali elementi sceglie gli atleti da mandare in campo”, la risposta, quasi sempre è la stessa: ” scelgo quei calciatori che hanno una maggiore libertà mentale”.

Se le cose stanno cosi, e penso che stiano cosi, allora, perché non si corre ai ripari?

In effetti, una società che punta all’eccellenza,dovrebbe avere, come accennato prima, un esperto in psicologia sportiva, da integrare nello staff tecnico. Una figura da affiancare all’allenatore atletico, tecnico, tattico. Una persona, insieme al quale, scegliere gli atleti più in forma, in quel momento, anche dal punto di vista mentale. Durante la gara, quando sono necessarie sostituzioni, oltre a valutare gli aspetti tecnici, valutare, insieme all’allenatore mentale, anche gli aspetti psicologici, di quello specifico momento.

Inoltre, in tutte le trasmissioni sportive, sia televisive, che radiofoniche, si fanno sempre le analisi tecnico, tattiche, ma, raramente, se la memoria non mi inganna, ho visto una persona competente che faccia una valutazione mentale.

In altri contesti, soprattutto nei paesi anglofoni, queste cose, sono una realtà, già da molti anni. In Italia, purtroppo, tranne alcune eccezioni, siamo ancora all’anno zero.

Come avevamo iniziato, chiudiamo questo capitolo. Tutte queste considerazioni portano ad una sola conclusione; senza l’unità mente corpo, senza che il cuore sia leale alleato del cervello, è impossibile realizzare un livello di alta prestazione.

“Ciò che conta non è la volontà di vincere, quella ce l’hanno tutti.

Ciò che conta è la volontà di pre-pararsi a vincere ! “

Paul Bryant, coach football Americano.

 

Psicologia dello sport. Fantasia o Realtà? Di Sicignano Antonio