Un dicembre così, secondo mio padre, non si vedeva da decenni, era troppo anche per noi in Sicilia. L’albero, è già piazzato accanto al vaso dei limoni e, davanti al suo piedistallo, ci sono in ordine la scatola delle luci, la scatola delle palle e quella dei festoni. In quelle mattine prenatalizie, i litigi con mia sorella – la perfettina –, i soffici rimbrotti di mia madre e le sporadiche e superflue apparizioni di mio padre, fanno solo da contorno al piatto principale che aspettiamo con ansia: la scelta della palla. Mia madre ha istituito una nuova personalissima tradizione, che costituisce l’atto finale di tutti i preparativi natalizi: ogni anno, dopo aver completato gli addobbi, prende me e mia sorella e ci porta al Centro Commerciale a scegliere una palla ciascuno da appendere all’albero.
Papà ha detto che lì non si poteva più stare. Ma allora perché lui e la mamma non sono venuti con noi? Ha detto che sono finiti i biglietti e appena ne trovano altri due ci raggiungono. Quando è arrivato il camion mia sorella mi ha preso e mi ha messo sopra, poi è salita anche lei e altri cinque uomini del mio villaggio. Il camion non si è fermato fino al mattino quando ci hanno fatto scendere e rinchiuso dentro questo buco di cemento e fango. Per fortuna mia sorella è con me, altrimenti sarei già scappato. C’è una puzza insopportabile qui dentro, rumori e lamenti, ma dicono che tra un’ora si parte. Ci fanno alzare poi, di corsa, fino alla spiaggia a riempire ogni spazio di quella barca blu. C’è confusione, mi spingono, mi schiacciano, cerco la mano di mia sorella, ma non la trovo.
Aspetto di vedere mia sorella tirata dentro come me, ma niente, non la vedo più. Ha un bel colore la barca, si confonderebbe con il mare se non fosse per quella nuvola nera che si lascia dietro. Ecco, ora la sagoma della nostra prigione è piccola piccola, sparisce lentamente. Non voglio vederla mai più.
Mia sorella – la perfida – allunga sempre il passo per arrivare prima allo scaffale delle palle ed avere il primato della scelta e io la lascio correre, tanto non sceglierà mai la palla che piace a me. Anche stavolta arrivo allo scaffale quando mia sorella si sta già rigirando tra le mani una palla enorme, bianca e blu, fosforescente e tempestata di brillantini.
o scelgo una palla più piccola, marroncina, lucida e con la cartina del mondo stampata in bianco. In fondo avere il mondo intero in una palla di Natale è un modo per augurarsi la pace. Appena scesi dall’auto mia sorella si precipita e in dieci secondi è davanti all’albero ad appendere la sua palla. Io scelgo il ramo più basso, così da far pendere la mia palla nel vuoto, proprio come la Terra nello spazio.
Fa troppo caldo e dura da sei mesi, ma sembra che sia agli sgoccioli perché parlano di un peggioramento improvviso e violento, quasi un uragano. Nonostante ciò, tutti aspettano la pioggia come una vera e propria benedizione. E quella notte il vento è talmente forte e rumoroso da coprire il rumore dei tuoni, dell’acqua e della grandine che cade impazzita e imprevedibile.
Una volta ho visto mio zio su un asino imbizzarrito. Lo faceva andare su e giù ma lui si teneva al collo e non è caduto fino a che l’asino non si è calmato. Qui non è la stessa cosa. Qui sono tre ore che il mare mi fa andare su e giù, ma non riesco a tenermi come mio zio. Dopo ogni onda arriva un precipizio e io non resisto, non ce la faccio a tenermi, cado sotto i piedi di altri uomini che neanche se ne accorgono e mi calpestano. Mi fa male tutto, lo stomaco, la schiena, le mani che mia sorella mi terrebbe strette, se fosse qui con me.
Qui tutto si muove, si muove e urla. Urla il vento, il mare, noi dentro questa trappola di barca e chi la sta guidando. Urla ovunque e occhi spalancati per paura oppure per cattiveria. E’ dalla spiaggia che non vedo mia sorella, forse sarà nella stiva o forse non è più salita a bordo. Non c’è. C’è tanta acqua invece e mi arriva addosso e non riesco più a distinguere quella che viene dal mare o dal cielo. Ormai mi bagna fino alle caviglie.
Mi sarò svegliato almeno dieci volte per il rumore del nubifragio, le imprecazioni di mio padre e i piagnucolii di mia sorella. Mi alzo curioso di vedere i risultati di quella notte tormentata e fa freddo. Sento la voce di mia madre dal portico, mi infilo qualcosa, esco e vedo un disastro, di quelli che solo un terremoto sa scatenare, almeno così dice la nostra vicina di casa disperata.
La buganville è al suo posto ma è ridotta ad un intrigo di rami spogli, poi mi giro e vicino al limone completamente spoglio, vedo l’albero di Natale. E’ un ammasso informe, verde, con qualche frammento di filo argentato impigliato tra i rami contorti, tutto il resto è sparso tra il vialetto, il prato e la siepe.
L’acqua mi è arrivata al bacino e tutta quella che una decina di uomini riescono a buttare fuori con qualche contenitore rimediato, il mare la restituisce immediatamente raddoppiata. Sembrano tutti impazziti, ci sono due uomini con la pistola in mano che sparano, urlano e sparano. Forse anche loro hanno paura, ma non capisco perché se la prendano con quei due poveretti. Mio padre mi ha detto che ci ha pensato lui a pagare il biglietto per me e mia sorella, forse loro non hanno pagato e ora sono stati scoperti. Ora c’è silenzio finalmente, ma è un silenzio strano, sfinito e impaurito.
Mi sforzo di non guardare il bordo della barca che diventa sempre più sottile e guardo avanti. Mi sembra di vedere delle luci ma deve essere l’effetto del vento e della pioggia sui miei occhi che bruciano, o forse sono davvero luci, forse siamo quasi arrivati.
Mi precipito alla ricerca dei nostri trofei nel prato, tra i cocci dei vasi e mille altri detriti, ma niente. Poi, all’angolo del prato, come un tappo sul buco di scolo del muro, ecco la palla di mia sorella. E’ talmente grande che non è passata dal buco, ma è talmente malridotta che mia sorella scoppia di nuovo a piangere. La mia palla potrebbe essere passata dal buco e finita nel canale di scolo sulla strada. Esco subito dal cancello, ignorando gli urli di mia madre, ma al posto del canale c’è un fiume in piena che porta dritto alla rotonda sul lungomare e da lì direttamente agli scogli. Ormai è persa e questo Natale è rovinato.
Mia madre rifarà l’albero in casa e mia sorella ci piazzerà la sua palla, magari rattoppata e ridipinta, ma la sua palla. Io no. La mia sarà finita in mezzo al mare, ormai irrecuperabile, così come l’atmosfera natalizia.
Quelle luci ora sembrano più grandi, deve essere per forza la Sicilia, me lo ha detto papà che andavamo in Sicilia. Il vento non ha mai smesso di graffiarmi la faccia e ora porta con sé anche qualche detrito, chissà da dove. Pezzi di plastica, bottiglie vuote, pezzi di legno appaiono tra un’onda e l’altra per poi sparire dietro la barca. Si fanno sempre più numerosi e tra un ramo secco e una bottiglia di plastica scorgo un oggetto piccolo e rotondo. Mi sporgo leggermente e l’afferro. Sembra una pallina, ma deve essere una cosa più preziosa, così lucida e dipinta. Riconosco la forma dell’Africa che ci hanno fatto studiare a scuola e di tutti gli altri continenti.
Ho paura di perderla allora tiro un filo dalla mia maglia, lo passo nell’anello, lo annodo, me lo infilo al collo e nascondo tutto sotto la maglia. Così è al sicuro. Non vedo l’ora di farlo vedere a mia sorella.
Mia madre insiste per andare a prendere un’altra palla e insiste anche mia sorella, che spera di rimediarne una nuova anche lei, ma io non voglio. L’avevo scelta io e quella era la mia palla, nessun’altra potrà prendere il suo posto quest’anno. Neanche i regali saranno gli stessi sotto il nuovo albero senza la mia palla. Non è il mio albero e non sono i miei regali: li restituirò al mittente e proclamerò lo sciopero del Natale. Basta.
Ora che l’ho ritrovato non devo arrendermi, devo farlo vedere a mia sorella quando saremo finalmente a terra. Lo tengo stretto stretto ed è come se tenessi un salvagente che non mi fa affondare. E’ la mia salvezza.
Natale. Mia madre ha preparato la tavola come fosse un matrimonio e gli ospiti stanno già arrivando. Mio zio, che ogni volta mi tortura le guance con i suoi odiosi pizzichi, accorgendosi del mio umore nero tira dritto. Mia sorella sembra un cicerone che accompagna i turisti in visita a chissà quale museo e invece li porta a vedere la sua palla rattoppata, orrenda e pacchiana. Io me ne sto qui, silenzioso in un angolo.
All’improvviso un rumore strano, uno scricchiolio, un lamento che percorre tutta la barca. In un secondo non capisco più nulla, il cuore mi spacca il petto e l’acqua mi copre la testa. Non riesco a tenermi a galla, le onde sono troppo grandi e una di queste mi strappa via dal collo il mio prezioso gioiello.
L’unica cosa positiva di questo Natale è la lasagna di mia madre. Per il resto fa tutto schifo. Mio nonno che russa sulla sedia già da un’ora, mio padre continua a versare liquore a mio zio e puntualmente ne butta la metà fuori del bicchiere. Le donne grandi sono in cucina e qui c’è mia cugina, ma mi gira al largo e gioca con mia sorella. Chissà dove sarà andata a finire la mia palla.
Non so quanto tempo è passato, forse un’ora, o forse tre o quattro. Intorno a me ci sono sempre meno persone e c’è silenzio. Il mare si è un po’ calmato e per fortuna ho trovato un pezzo di legno che mi aiuta a stare a galla. Il cielo ora è pieno di stelle ma nessuna luccica più del mio gioiello sotto la luce della luna. Lo tengo al sicuro e all’asciutto, stretto nella mano.
Lavati tutti i piatti, mia madre, mia zia e mia nonna usciranno dalla cucina e cercheranno di ravvivare l’atmosfera proponendo la solita tombolata. Per loro non è Natale senza tombola, per me non è Natale senza la mia palla. Per mio padre, mio zio e mio nonno invece sembra che non sia Natale senza alcol, visto che sono tutti e tre sbragati sul divano a russare. Giocheranno solo tra femmine.
Non tira più vento, ma allora che cos’è questo rumore? Si fa sempre più forte e vedo che qualcuno nell’acqua agita lentamente le mani. Mi giro e vedo una barca grandissima, bianca e tutta di ferro, e degli uomini, tutti bianchi anche loro, dritti in piedi sul bordo. Dopo un attimo mi tirano per un braccio come quel giorno sulla spiaggia, e mi ritrovo all’asciutto. Siamo salvi io e il mio gioiello e forse anche mia sorella.
Io decido per la tv, a Natale c’è sempre qualcosa da vedere, un po’ meno da sentire, visto il chiasso che fanno le cinque giocatrici. Fanno “Una poltrona per due”, mi sembra di averlo già visto, ma lo rivedrò lo stesso perché ogni volta mi fa morire dal ridere quando dice con quella voce buffa “Bello anno a lei!”.
A tutti gli uomini che mi passano vicino mostro la fotografia di mia sorella e chiedo se l’hanno vista. Il terzo che fermo è una donna e mi dice che prima di noi hanno salvato un altro gruppo e che stanno in fondo alla nave.
E ora che succede? Perché interrompono il film? C’è il telegiornale straordinario, deve essere successo qualcosa di importante altrimenti non avrebbero interrotto il film, oggi è Natale. Appena iniziano a parlare tutti si avvicinano alla tv e qualcuno alza il volume. Lo chiamano il “salvataggio di Natale”.
Dicono che stamattina all’alba sono stati avvistati tantissimi naufraghi e che il recupero è terminato da poco con il salvataggio dell’ultimo gruppo di persone. Stanno arrivando qui da noi in porto e c’è sul posto l’inviato della tv ad aspettarli con le telecamere.
Corro, corro più forte che posso e la chiamo. Lei si alza di scatto e mi corre incontro abbracciandomi. Finalmente l’ho ritrovata, è salva anche lei. Improvvisamente un suono forte esce dalla nave e subito ci dicono che si può scendere, siamo arrivati.
“Eccoli stanno scendendo” dice, anzi urla, l’inviato e i naufraghi si vedono in fila indiana camminare lentamente sulla passerella. Dai visi devono essersela vista brutta, poveretti.
L’inviato dice che ci sono anche parecchi bambini tra i naufraghi e proprio ora ne stanno scendendo due. L’inquadratura si avvicina e vedo che il bambino tiene in mano qualcosa.
Sorella mia, se non fosse stato per questo gioiello non mi sarei salvato, l’ho trovato nel mare stanotte, mi è venuto incontro tra le onde e non l’ho più lasciato.
NOTA: si tratta di una sorta di flow of consciousness alternato di due bambini provenienti da mondi ed esperienze molto diversi. Nel testo vengono usati caratteri diversi per i due protagonisti per evidenziare l’alternanza dei flussi che hanno durata uguale per entrambi e si riducono progressivamente fino alla fine del testo.
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