Se ormai non sei più un bambino ma non puoi nemmeno essere definito come adulto, non fai parte di una gioventù qualsiasi. Fai parte della gioventù bruciata.
Noi bruciamo ogni giorno: bruciamo per le droghe, per l’alcol, bruciamo di ipocrisia e bruciamo davanti a uno schermo; bruciamo nei nostri vestiti insulsi e nella strafottenza, bruciamo d’invidia per una generazione precedente alla nostra e bruciamo di angoscia per chi prenderà il nostro posto, i figli di una gioventù bruciata.

La gioventù bruciata fa fatica a rimanere indenne.

Illusi quelli che sognano, insipidi quelli che non ne sono più capaci. Arroganti quelli che si immergono nella politica, immaturi quelli che ne stanno alla larga. Si è sempre troppo piccoli: troppo piccoli per capire, per parlare, per provarci, troppo piccoli per essere parte di qualcosa e troppo grandi per starne fuori. C’è della volgarità in ogni parola, in ogni azione. Si parla di sesso senza coprirsi la bocca, di surriscaldamento globale anche se si hanno le trecce e perenne insufficienza a scienze. Non si vorrebbe mai ammettere di non sapere, piuttosto affrontiamo la nostra ignoranza con spavalderia, risultato di un’epoca in cui chi non sa è spacciato, oltre che patetico.

La gioventù bruciata è sfacciata, ma ha paura. Paura di cosa ci è stato dato e che non ci piace, paura che per quanto ci proveremo non riusciremo mai a cambiarlo. Ci battiamo facendo rumore perché questo ci è stato insegnato: gridiamo, graffiamo, agiamo da branco come gli animali. Ma soprattutto, bruciamo.
Quel che non si vede è che ogni volta che un piccolo, insignificante cambiamento fa capolino, una delle fiamme si spegne, e non resta che una scia di fumo. La mia generazione brucia sempre, ma si batte per spegnersi.

E se tra cinquanta o cento anni un giovane penserà: “voglio bruciare anch’io”, sarà allora che la gioventù bruciata avrà vinto.


Testo di Giacomo Danesi