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La fabbrica dell’orrore si trova ad Auschwitz

Sono trascorsi due mesi dal giorno in cui ho visitato quel luogo. So che quello che ho visto rimarrà indelebile per sempre nella mia mente come la fabbrica dell’orrore.

Oggi è il 26 aprile ma ad Auschwitz c’è ancora un gran freddo. La pioggia battente e il cielo plumbeo contribuiscono a rendere più impressionante l’impatto con il campo. Oltrepassati i cancelli sui cui campeggia la beffarda scritta “Il lavoro rende liberi”, si entra in un lungo viale ai lati del quale sorgono le costruzioni di mattoni rossi chiamate Block e dentro le quali venivano ammassati i prigionieri. L’atmosfera che si respira è molto pesante. Centinaia , forse migliaia di persone si spostano all’interno degli edifici divenuti ora museo, quasi in assoluto silenzio…. Le parole qui dentro non servono….

Bastano gli occhi, che spesso si riempiono di lacrime soltanto se per un attimo ci si sofferma a pensare alle sofferenze e alle atrocità che sono state consumate in questi luoghi…

Le emozioni prendono il sopravvento specialmente quando si incomincia ad entrare nei Block . Al loro interno, in esposizione, immagini che nessun essere umano vorrebbe mai vedere, che fanno riferimento ad azioni compiute da uomini nei confronti di altri loro simili. Belve assetate di sangue, è il primo mio pensiero, ma definire gli ideatori e i carnefici di uno dei più grandi misfatti della storia come animali feroci, appare riduttivo ed offensivo nei confronti di questi ultimi.

L’impatto con l’enorme teca che contiene un’infinità di capelli umani, provoca un’immediata ripercussione allo stomaco. Il senso di nausea non si attenua poi con la visione di montagne di scarpe da uomo ammassate, dalle quali talvolta, come se voglia farsi notare, fuoriesce qualche paio da donna colorato rosso o bianco. Scarpe che seguono i dettami della moda “anni quaranta” e che rievocano nella mia mente passeggiate spensierate, feste da ballo o forse momenti di vita quotidiana di chi le ha indossate. Le testimonianze dello sterminio continuano con la visione di un crescente, lacerante orrore che non può che lasciare attoniti. In particolare nella sezione dedicata ai bambini. Nonostante siano passati più di 70 anni, questo luogo sa ancora di morte. La si percepisce, è ancora lì, aleggia negli edifici, nei viali, nelle prigioni…

Una sensazione che non abbandona mai il visitatore dal momento in cui varca il cancello fino a quando non esce dal campo e che diventa più forte a mano a mano che ci si avvicina alle camere a gas.

All’interno di queste, non si può resistere per più di qualche secondo. Specie se, come nel mio caso, si viene colti da un forte senso di angoscia e di soffocamento. In un attimo nella mente appaiono immagini di uomini, donne e bambini, che giacciono sullo stesso pavimento sul quale ogni giorno poggiano i loro piedi migliaia di visitatori giunti da mezzo mondo e può accadere che proprio in quel luogo che rappresenta l’apoteosi del male, si materializzino immagini di corpi agonizzanti, ammassati uno sull’altro, alcuni di essi nell’atto di tentare l’estremo respiro, in un ultimo anelito di vita. Nella stanza accanto i forni crematori concludono il lacerante viaggio dell’orrore, costruito dall’uomo in nome di un assurdo odio razziale…


La fabbrica dell’orrore a Auschwitz

raffaella imbriaco

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raffaella imbriaco

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