Ho già parlato del dramma sulla strage dei musulmani rohingya in Birmania. E la cosa prima purtroppo non meravigliava perché il Paese era sottoposto ad un regime militare. Ma ora che premier è il premio Nobel Aung San Suu Kyi (della cui vittoria esaltavo in questo post), la cosa mi rattrista molto.
Perché Aung San Suu Kyi non fa nulla? Lei che doveva dare una svolta alla Birmania. E peggio ancora non parla, neanche dinanzi all’Onu. Un motivo c’è, che la discolpa in parte. Vediamo quale.
Dopo aver vinto la sua battaglia ed essere riuscita a dominare la Birmania, il premio Nobel per la pace ha consentito al suo portavoce di definire i rohingya “terroristi”. Inutile ribadire l’indignazione di tutti gli altri premi Nobel. Come mai i birmani, prevalentemente buddisti, ce l’hanno tanto con i rohingya, di religione islamica? Come mai desiderano che ritornino in Bangladesh?
Un tema delicato per il premio Nobel soprattutto in virtù della strage dei musulmani rohingya. Quello che sta succedendo, infatti, è che questa popolazione sta fuggendo in massa proprio verso il Bangladesh. Scappano perché la Birmania sta distruggendo i loro villaggi, li massacra, stupra le donne e spara sui bambini. Non certo un atteggiamento da giustificare da parte di un premio Nobel per la pace.
La storia sembra ripetersi e alcune guerre di religione e di territorio sembrano dover continuare in eterno. Nemmeno la sensibilità di chi porta l’onore di un premio Nobel riesce a far calmare le tensioni: anzi. Come si può giustificare la bruta violenza su donne e bambini? Chi da il diritto a distruggere i villaggi di persone per semplici ragioni etniche?
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