Attraverso i miei occhi, voglio raccontare che cos’é il muro di divisione Israele Cisgiordania. Sono infinite le immagini e le esperienze che abbiamo visto e vissuto, con le nostre memorie. Ma sono poche e minime quelle rimangono impresse nella testa e che molto spesso, cambiamo il modo di vedere e di pensare. Una di queste, quella che mi ha lasciato più stupita, ma anche spaventata, è quando, pochi anni fa, sono andata in Israele ed ho attraversato a piedi la barriera di divisione Israele-Palestina. Essa è un muro che circonda i confini tra Israele e Palestina a causa di conflitti religiosi tra Cristiani, Ebrei e Musulmani.
Quando sono entrata alla dogana all’interno della struttura, ho subito notato le varie celle di passaggio, così dure e spesse, e l’oscurità che avvolge la struttura dando alla situazione un’ aria di tensione, ed essa c’era almeno un po’ dentro di me. Basta guardare il viso duro e severo del controllore che ti schematizza e controlla ogni traccia delle tue colpe o dei tuoi “segreti”.
Basta guardare giovani di 17-18 anni già vestiti di divisa militare, armati di fucili in modo avido.
Il nostro “accompagnatore” non è venuto assieme a noi, per il semplice motivo che lui è Israeliano e non ha il permesso di passaggio.
I militari non avrebbero esitato a puntargli addosso qualche arma.
Dopo aver effettuato il controllo dei documenti, ci siamo mossi per attraversare la struttura costituita da un lungo corridoio a zig-zag, diviso da celle che devono essere spinte per sbloccare il passaggio. Non era una passeggiata, non c’era calma, ma c’era tensione dentro tutti e bisognava correre, poiché il pericolo poteva nascondersi anche dietro i muri. Fa molto pensare ad un film d’azione e a qualcosa di surreale, ma è realtà e questo mi ha fatto impressione.
In cinque minuti ti ritrovi in una situazione diversa ed estrema; ho guardato tutti i visi di coloro che passavano: la stessa tensione, lo stesso controllo.
Mi sentivo schiacciata dal soffitto basso, dallo sporco del pavimento e dalle barriere trai muri, dai severi controllori della dogana e dalle armi dei giovani soldati. E fa paura come cambia il mondo, un Paese, un ambiente: parti da una città ricca e fiorente, dall’ordine e poi passi in pochi minuti nel terrore e ti ritrovi nel disordine e nella povertà della Palestina. Quando sono uscita mi sono girata a guardare quel muro, quella struttura immensa di metallo, e lì sopra ho visto anche la libertà: c’erano graffiti, grandi e colorati, erano disegnati bambini che si tenevano per mano e guardavano il cielo attraverso un buco, uomini che abbattevano le cementazioni e donne vestite del loro Chador (velo sul capo) che sorridevano. Il loro desiderio è libertà, la voglia di essere uniti
Non ho mai pensato di rimanere così impressionata quando ho girato lo sguardo e ho visto una figura alta e magra, una giovane donna in lontananza, sul suo capo portava il Chador di colore scuro, la sua stoffa ricopriva la sua testa perfettamente. Stava davanti un rete di fil di ferro e guardava in lontananza e aspettava fremente, qualcosa o qualcuno.
Nella sua fermezza desiderava la libertà, dentro di lei ardeva il coraggio e nascondeva i suoi sentimenti dentro di sé. L’importante che nessuno sappia.
Lei aspettava ancora: la sua famiglia, suo marito e la libertà.
Il motivo per cui questo episodio della mia vita che ho così impresso e perché, in pochi attimi, ho capito cosa significa il desiderio di libertà. In poco tempo mi sono sentita vittima di un conflitto estraneo, vittima dell’ingiustizia. Ho riflettuto sulla libertà, di quanto abbiamo la fortuna di essere, di fare e di dire ciò che vogliamo. Di vedere posti, di visitare Paesi, vicini e lontani, e cambiare. Io ho visto ciò che la gente non sa.