C’è una fine in ogni cosa

152

E lo abbracci di candide carezze, lasciandoti crollare la tristezza che voi stessi avevate generato.
E lo guardi senza piangere, per la prima volta, senza lacrime ad accompagnare gli sguardi, diversi da prima, diversi da sempre.
Non capiva nessuno dei due che cosa fosse successo, quale fosse stata la ragione di quel momento.
Seduti su una panchina senza parlare da dieci minuti o forse più, non capendo l’altro e cercando l’amore.
Non c’era risposta negli sguardi, un vuoto strano dilagava nella mente, come nebbia alle prime luci del giorno milanese.

Non c’era spazio per le parole, è questa la verità. Erano davvero troppi i rimproveri, troppi i rimpianti, troppi i rancori nei cuori di entrambi: sentimenti sotterrati dall’innamoramento degli anni passati.
Tutto emerge prima poi, come polvere sotto lo zerbino, basta solo un granello, un ultimo gesto di scopa e fuoriesce tutto dalle acque della bocca.
Senza freni e con odio. Senza misura, ma con apatia.
Già, l’apatia …

L’apatia è il sentimento più vero e più forte che si possa provare, incontrastabile nella sua grandezza.

Devasta il cuore, ma, prima ancora, distrugge la mente. Non ci sono pensieri positivi o dolci ricordi che sopravvivano quando al sentimento, anche il più brutto, si sostituisce il vuoto del basta.
Nella panchina non c’era una coppia, non c’erano ragazzi, non c’erano amanti, ma vegetali senza radici.
Quelle radici, che erano la forza dell’amore, erano state restituite alla terra, lì dove erano nate.
È difficile staccare le radici dagli alberi, forse impossibile.

È per questo che l’amore vero non esiste.

Ed è per questo che il per sempre vagheggiato da sempre e per sempre, è sempre solo nella testa … e lo è per poco.
Il tempo non è fisso, non è un calendario con scadenza, ma questa c’è.
L’orologio prima o poi suona, la sveglia è impostata da lassù e ognuno di noi si deve svegliare; perché i sogni sono finiti, il torpore dell’antica infelicità è eterno.
Quello sí che è per sempre.