Le pene che non voglio. Mentre me ne stavo al mare, ad abbronzar le chiappe chiare, l’Istat prendeva appunti. Passa il tempo, oggi stima un’evoluzione negativa  del ciclo economico in atto da allora:

Tutte le componenti del clima di fiducia dei consumatori sono in peggioramento, seppur con intensità diverse: il clima economico e quello corrente registrano le flessioni più consistenti mentre cali più moderati caratterizzano il clima personale e quello futuro. Più in dettaglio: il clima economico cala da 130,5 a 126,6, il clima personale passa da 108,9 a 108,2, il clima corrente scende da 112,4 a 109,4 e il clima futuro flette da 117,4 a 116,9. Con riferimento alle imprese, l’indice di fiducia diminuisce in gran parte dei settori: nella manifattura e nei servizi l’indice cala lievemente, passando rispettivamente da 102,0 a 101,7 e da 98,6 a 98,3; nelle costruzioni il calo è consistente, da 139,2 a 135,5. Fa eccezione il commercio al dettaglio, dove l’indice aumenta da 102,9 a 105,4.

Cavolaccio! Da Luglio le pene che non voglio son tutte qua: con un clima così i consumatori hanno consumato meno, indipercuiposcia i produttori produrranno meno e i commercianti, che seppur sembra abbiano commerciato oggi, potranno commerciare domani?

Si, indipercuiposcia, perchè la crescita si fa con la spesa. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, crea lavoro e lo remunera, remunerando Tutti.

Tutti, tutti!

Se non lo si fa, quel che l’Istat registra come “sfiducia” sarà solo un portafoglio sgonfio.

Sta qui il bandolo della matassa che si scorge nel report dell’Istat e che l’ortodossia economicista, non sembra intendere.

P.S. mentre ancora discetto, aggiorno il quadro: a febbraio l’indice di fiducia economica della zona euro passa da 106,3 a 106,1 punti, il livello più basso da novembre 2016.

Mauro Artibani, l’economaio